A Buon Diritto - Associazione per le libertàLogo dell'Associazione
Libertà Terapeutica Libertà Religiosa Libertà Personale
libertà terapeutica come espressione della sovranità dell'individuo sul proprio corpo... il diritto di professare liberamente la propria confessione religiosa... la tutela della libertà personale all'interno degli istituti di pena...
Altri Articoli
Links correlati

La lezione di Mira e Hinda

Mira vive a Torino, ha ventidue anni, è marocchina ed è fidanzata con un italiano. Hinda, anche lei marocchina, di anni ne ha solo 17; vive a Milano dall’età di tre anni. In comune non hanno solo la provenienza geografica: entrambe sono state vittime di violenze, entrambe hanno dolorosamente sperimentato sulla propria pelle il sopruso che può scaturire da conflitti culturali profondi.

articolo - - - - L'Unità - Andrea Boraschi, Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[31/05/04] Mira vive a Torino, ha ventidue anni, è marocchina ed è fidanzata con un italiano. Hinda, anche lei marocchina, di anni ne ha solo 17; vive a Milano dall’età di tre anni. In comune non hanno solo la provenienza geografica: entrambe sono state vittime di violenze, entrambe hanno dolorosamente sperimentato sulla propria pelle il sopruso che può scaturire da conflitti culturali profondi. Le cronache che le riguardano sono recentissime. Mira è stata aggredita, poco più di una settimana fa, a Porta Palazzo, uno dei centri dell’immigrazione nel capoluogo piemontese. Le cronache dicono che è stata minacciata da cinque suoi connazionali, perché vestita troppo “all’occidentale”. Uno dei cinque aggressori, che l’avrebbero ingiuriata e minacciata con un coltello, l’ha anche molestata sessualmente. Mira, per lo spavento, ha perso il bambino di cui era incinta. Dei cinque aggressori, solo uno finora è stato arrestato e condannato per direttissima a sei mesi di carcere. Hinda vive al Corvetto, il quartiere di Milano con il più alto tasso di immigrati. Da anni, le donne della sua famiglia subivano le angherie del padre, muezzin nella moschea di via Quaranta. I maltrattamenti subiti avevano già costretto al ricovero in ospedale Sara, la madre, e Malika, la sorella minore. Le liti si sono fatte sempre più violente, negli anni: Hinda non accettava più di portare il velo, non voleva più vestirsi da araba né studiare il Corano. Voleva essere libera di frequentare ragazze italiane e di fare una vita “da occidentale”. Uno dei più acuti motivi di conflitto si ha quando la famiglia apprende che, dopo dieci anni di permanenza nel nostro paese, è possibile richiedere la cittadinanza italiana. Il padre impedisce alle tre donne di iniziare qualsiasi procedura a riguardo: impone loro di conservare integralmente l’identità di donne arabe musulmane. Un anno fa, la prima denuncia: madre e figlie vengono allontanate dall’uomo e portate al riparo in una comunità. All’inizio del 2004, rientrano nella loro casa, dalla quale l’uomo è stato, a sua volta, allontanato; e scelgono di affidare la soluzione del loro conflitto alla giustizia italiana. Pochi giorni fa, Hinda ha testimoniato in tribunale contro suo padre. I media hanno già accostato le due vicende, inquadrandole in quella cornice di senso che potremmo definire dello “scontro di civiltà”. D’accordo. A patto che ci si intenda sui termini; e sulla parola “civiltà” in primo luogo: perché di genitori e mariti italiani autoritari, che riproducono nel rapporto domestico violenza e sopraffazione in nome di valori religiosi, culturali, etici, ce ne sono, probabilmente, ancora molti; e perché di ragazze che vengono molestate da italiani perché si vestono da “puttana” (è quanto gli aggressori hanno urlato a Mira) ce ne sono, ancora, non poche. Insomma, il maschilismo non è propriamente un dogma teologico. È, piuttosto, un tratto culturale. Ma qui arriva il bello: quei conflitti si manifestano, asperrimi, tra appartenenti ad una stessa comunità, che sperimentano diversi gradi di integrazione e diverse tipologie di rapporto con la cultura ospitante e con quella d’origine. E in ciò è possibile ravvisare alcuni elementi positivi. Mira è una ragazza come tante, che “adora lo shopping, la musica pop, andare in palestra, uscire con gli amici”. Si sente italiana e avrebbe potuto esserlo anche a termini di legge. Parla italiano, inglese, francese, marocchino e un po’ di spagnolo. Lavora. A diciassette anni ha capito che la sua vita poteva essere tutelata dalla legge, che esiste un diritto positivo che la difende, che tutela lei, sua madre e sua sorella. Ha capito di essere titolare di diritti e ha scelto di non rinunciarvi. Una giornalista le ha chiesto se non sentisse il bisogno di conoscere meglio la sua cultura d’origine. “Io non la rifiuto - ha risposto - Vado in Marocco, a Casablanca, dove vivono i mie parenti, quasi tutti gli anni. Due volte a settimana a casa mangiamo piatti marocchini. Conosco persone di cultura araba e sono buone e cordiali. Il fondamentalismo è un´altra cosa. Ho letto il Corano, in lingua italiana, e non l´ho capito, ma certamente non è scritto da nessuna parte che bisogna imporre l´Islam con la forza”. Poi le è stato chiesto se si sente italiana: “Certamente, ma non solo. Sono nata in Marocco, vivo a Milano, ho amiche italiane, indiane, cingalesi, eritree, brasiliane. Mi piacciono le culture straniere, le persone diverse da me, le lingue, i Paesi”. E noi a interrogarci su come si esporta la democrazia…


Sito gestito da
iworks
Scrivi al webmaster
© 2002 A Buon Diritto
Associazione per le libertà
Via dei Laghi, 12 - 00198, Roma
abuondiritto@abuondiritto.it
Tel. 06.85356796 Fax 06.8414268