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Immigrati, disobbedisco anch'io

I due padri comboniani, Franco Nascimbene e Giorgio Poletti, che si sono incatenati davanti alla prefettura di Caserta e che da lì sono stati allontanati con una ineffabile “operazione di polizia”, ritengono che in Italia – nel trattamento degli immigrati - vengano violati alcuni diritti fondamentali della persona. Lo ritengo anch’io (...)

articolo - - - - L'Unità - Luigi Manconi - Migranti

[10/06/03] I due padri comboniani, Franco Nascimbene e Giorgio Poletti, che si sono incatenati davanti alla prefettura di Caserta e che da lì sono stati allontanati con una ineffabile “operazione di polizia”, ritengono che in Italia – nel trattamento degli immigrati - vengano violati alcuni diritti fondamentali della persona. Lo ritengo anch’io, e da una quindicina d’anni: ma non c‘è il minimo dubbio che la legge detta “Bossi-Fini” costituisca un fattore di incentivazione e radicalizzazione dei meccanismi di “intolleranza per via istituzionale”. Quella legge, infatti, prevede norme che, per un verso, discriminano gli individui presenti sul territorio nazionale in ragione della loro nazionalità; per altro verso, comprimono in misura rilevante il sistema di garanzie e di tutele per gli stranieri; e, infine, trasformano un illecito amministrativo (la condizione di irregolarità) in reato, con tutte le consegue sul piano della repressione e della sanzione, che ciò comporta. Questo giornale sta documentando, da tempo, a quale scempio del diritto e dei diritti porti l’applicazione di quella legge: ovvero il modo concreto con cui quelle norme vengono utilizzate nei confronti degli immigrati in carne e ossa. La testimonianza dei padri comboniani ci dice, inequivocabilmente, quanto sia grande e quanto sia oltraggiosa la portata dello “scandalo” in alcune aree del paese. Si può fare qualcosa? Penso di sì. La mia proposta è semplice, semplicissima: e va condotta (e accolta da chi la condivide) con altrettanta semplicità. La nuova procedura di allontanamento nei confronti degli immigrati “clandestini” prevede l’espulsione con accompagnamento immediato; e qualora non sia possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza, o siano decorsi i termini, il questore ordina di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni. La mancata ottemperanza all'ordine, senza giustificato motivo, comporta l'arresto da sei mesi a un anno. Si è introdotto, così, un infallibile meccanismo di “criminalizzazione”: se la condizione di clandestinità non costituisce, di per sé, reato, il mancato allontanamento spontaneo dal territorio dello Stato, fa scattare l'ipotesi di reato. Nei fatti, sempre più frequentemente, l’amministrazione non tenta neppure di allontanare lo straniero: preferisce lasciarlo uscire "libero" dalla Questura, sapendo che, nel tempo di soli cinque giorni, è destinato a commettere un reato (ovvero la permanenza illegale in Italia). A quel punto, non si procederà più per rintracciare un clandestino, bensì per catturare un criminale. Di fronte a ciò, ritengo che sia legittimo un atto di disubbidienza e mi dico disposto, senza enfasi e senza iattanza, a compierlo (e invito chi voglia aderire a comunicarlo a: abuondiritto@abuondiritto.it). In altri termini, dico che intendo adoperarmi fattivamente e contribuire materialmente, con i mezzi a mia disposizione, per evitare che lo straniero in attesa di regolarizzazione – che non sia responsabile di reati – possa sottrarsi all’espulsione; e trovi alloggio presso una comunità, assistenza legale, forme di tutela. Sia chiaro: non si compie, con ciò, alcun atto eversivo e alcun gesto eroico. Nessun atto eversivo perché si dichiara alla luce del sole la propria volontà di violare la legge in nome di valori, che si ritengono “più grandi” degli spazi formali assegnati loro dall’ordinamento statuale; e perché l’ingiustizia e la sofferenza, cui quei valori rimandano, non possono essere “contenute” dai singoli ordinamenti positivi, storicamente definiti e territorialmente circoscritti. Si tratta di principi che richiamano quello “stato di necessità” riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, quando – come ha scritto Ernesto Bettinelli - si manifesti una “contraddizione tra i fini e i valori generali” e “singole leggi o situazioni ritenute a essi non conformi”. D’altra parte – ecco il punto dirimente - si accetta di pagare lo scotto che quella disubbidienza comporta: e di affrontare i costi e le conseguenze che la violazione di una norma implica. Ovvero la “rigorosa disponibilità” (come scrive ancora Bettinelli) “a subire determinate e previste situazioni di svantaggio, quali i procedimenti penali e le conseguenti sanzioni irrogate ai trasgressori”. E, infine, non è certo un gesto eroico quello che si propone: qui, a pagare costi pesantissimi e conseguenze dolorosissime, sono gli immigrati. Le loro condizioni di vita e la loro dignità. E, aggiungo, gli standard di civiltà giuridica del nostro paese: e tutti noi, dunque, che in questo paese viviamo.


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