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11 dicembre 2009
l’udienza per l'opposizione alla richiesta di archiviazione per l'accusa di omicidio di Aldo Bianzino
Luigi Manconi
Oggi, a Perugia, si terrà l’udienza per l'opposizione alla richiesta di archiviazione per l'accusa di omicidio di Aldo Bianzino a opera di ignoti. Se fosse decisa l’archiviazione, quella di Aldo Bianzino rientrerebbe definitivamente tra le morti le cui cause restano “da accertare”.

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CANNABIS MEDICINA PROIBITA

Agenda Coscioni mese di dicembre

 
MORIRE DI CARCERE
A cura di Valentina Calderone e Luigi Manconi

Secondo Ristretti orizzonti, la più autorevole fonte di informazione sul sistema penitenziario italiano, oltre il 50 % delle morti che avvengono in carcere si devono a “cause da accertare”. Sia chiaro: non si vuol dire, con ciò, che quelle morti siano tutte sospette. Si intende segnalare, piuttosto, come nel carcere si realizzi una sorta di ricorrente “abbandono terapeutico”. La deficitaria assistenza sanitaria, resa ancora più fragile dal crescente sovraffollamento, non permette – nonostante l’impegno di molta parte degli operatori sanitari – cure e terapie adeguate. Non solo: appena qualche giorno fa un agente di polizia penitenziaria è stato rinviato a giudizio per omissione di soccorso, a proposito della morte di Aldo Bianzino. A parte il caso specifico, si può dire che il sistema penitenziario è un regime dove l’omissione di soccorso costituisce, se non la regola, una prassi frequente, potentemente agevolata dalla disorganizzazione e dalla carenza di personale. Poi c’è l’opacità del carcere, la sua impermeabilità allo sguardo esterno e a controlli imparziali, la sua irreparabile separatezza. In quella dimensione grigia, tutto può accadere: anche gli abusi e le violenze, che sono come una sorta di tentazione permanente, pronta a precipitare. E quando precipita, risulta in genere taciuta e occultata, trascritta come “incidente” o “caduta dalle scale”. In queste pagine raccontiamo cinque storie, tra le molte (decine e decine) che vengono segnalate come meritevoli di approfondite indagini. Non sono nemmeno le vicende più drammatiche e contraddittorie: sono quelle, piuttosto, delle quali è stato possibile ricostruire la dinamica. Altre, tante altre, vengono – come si è detto – semplicemente rimosse. Queste pagine vogliono contribuire a non seppellire, una seconda volta, i corpi e le biografie di quei detenuti ridotti al silenzio.

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Visita ispettiva al "Pertini"
 

Stefano Cucchi: le foto della vergogna

I segni della violenza

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Memoria


«Stefano, il fratello che mi proteggeva quando ero piccola»
Ilaria Cucchi intervistata su «Sette»
Valerio, il nipotino di sette anni, non capiva. Gli avevano raccontato che zio Stefano non c’è più per via di un brutto inci­dente, e poi perché Gesù è sem­pre in cerca di angeli e ogni tan­to ne prende qualcuno con sé.

 

 

1972,

La polizia uccide a bastonate

Serantini

Oreste Pivetta

Sarebbe oggi vicino ai sessant'anni. Era nato a Cagliari il 16 luglio 1951, morì a Pisa il 7 maggio del 1972, dopo lunga agonia, ammazzato dai colpi di manganello, dai pugni, dai calci di alcuni agenti della Celere di Roma, dall'indifferenza di medici, carcerieri, magistrati... "Il posto dove fu colpito a morte è sul Lungarno Gambacorti di Pisa, tra via Toselli e la via Mazzini. Si lascia sulla sinistra, venendo dal ponte di Mezzo, il palazzo del Comune e si cammina lungo una ininterrotta serie di piccole botteghe che forse esistono da secoli e hanno mutato soltanto il nome e il genere dei loro minuti commerci...".

Diciassette anni,

si impicca

nel carcere minorile di Firenze

Aveva diciassette anni, veniva dal Marocco, si è impiccato ieri pomeriggio con un lenzuolo nella doccia del carcere minorile di Firenze, dove era detenuto in attesa di giudizio per tentato furto: il suo nome non lo conosciamo, sappiamo che prima dell’arresto viveva in un paese in Provincia di Lucca, Aulla, dove lavorava come operaio. È stato arrestato il 3 agosto scorso, mentre cercava di rubare degli orologi esposti in una vetrina della stazione ferroviaria.

Yassin morto per ingiustizia
Franco Corleone

 

I nostri governanti:

Fini: "Stranieri diversi? Stronzo chi lo pensa" 21 novembre 2009

«Ci sarebbero i suicidi anche se mettessimo i detenuti in un hotel a cinque stelle…». Ignazio La Russa 19 novembre 2009

 
Di carcere si continua a morire
Luigi Manconi

Con la morte di un detenuto di 47 anni avvenuta nel carcere di Tolmezzo sabato scorso, salgono a 64 i suicidi registrati nelle carceri italiane nel solo 2009. È il numero più alto registrato a partire dal 1990 (solo nel 2001, ma nel corso di dodici mesi, il numero fu simile).

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MEMORIA

Indagare a fondo sul Pertini Luigi Manconi

Fin da quando, lunedì 26 ottobre, denunciai pubblicamente le circostanze della morte di Stefano Cucchi, segnalai due elementi. Il primo: il giovane romano aveva subito gravi violenze; il secondo: nei suoi confronti era stato attuato un vero e proprio abbandono terapeutico da parte della struttura sanitaria che lo ospitava. Gli avvisi di garanzia, inviati dalla procura, confermano pienamente quanto detto oltre due settimane fa. In particolare, allo stato dei fatti e di una documentazione clinica inequivocabile, si può affermare che il trattamento ricevuto da Cucchi nel reparto detentivo dell'ospedale Pertini è stato, non solo deontologicamente disumano, ma anche penalmente sanzionabile. La magistratura dovrà ora procedere, ma il discorso non si ferma qui. Molte segnalazioni da me ricevute e altrettante denunce circostanziate  convergono nel far ritenere che il reparto detentivo del Pertini non è una struttura sanitaria protetta, bensì una pessima galera, gestita con criteri che ben poco hanno di terapeutico ma che, piuttosto, sembrano ispirati a una logica solo ed esclusivamente di controllo autoritario. Si deve indagare a fondo, pertanto, sul quel reparto detentivo, sulle sue spaventose carenze e sulla sua gestione irresponsabile. Per accertare se altre vicende come quella di Cucchi siano già avvenute in passato e per evitare che altre avvengano in futuro.

Luigi Manconi presidente di A Buon Diritto già Sottosegretario alla Giustizia:
“Apprendo che un detenuto del centro clinico di Regina Coeli, affetto da ulcera rettocolitica, che determina consistenti perdite di sangue si trova attualmente nell’impossibilità di essere ricoverato in un ospedale cittadino dove ricevere un trattamento alternativo alla trasfusione, capace di assicurargli l’innalzamento dei valori ematici. Il detenuto rifiuta la trasfusione in quanto testimone di Geova che, in ragione della propria fede, non ammette quel tipo di trattamento terapeutico. A Roma, più di una struttura sanitaria ha la possibilità di effettuare trattamenti alternativi alle trasfusioni ma – si dice – che oggi in quelle strutture non c’è possibilità di accoglienza in quanto tutte messe a disposizione dei possibili malati della pandemia H1 N1. La cosa appare poco credibile e, dunque, sembra configurare piuttosto un atteggiamento discriminatorio nei confronti di chi si trovi privato della libertà.”


 



Un sistema malato su cui indagare
Luigi Manconi
Seguite,  passo dopo passo, oltraggio dopo oltraggio, il calvario di Stefano Cucchi;

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Il caso Cucchi è politica, caro Pd
Luigi Manconi
Caro Segretario Bersani, cara presidente Bindi, come membro dell’Assemblea nazionale del Pd ho ascoltato con attenzione e piena condivisione le vostre relazioni e i vostri interventi di sabato scorso.

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L’agonia di Stefano Cucchi
Tutta la documentazione clinica sull’ultima settimana di vita e di sofferenza

Pubblichiamo l’intera documentazione clinica su Stefano Cucchi, a partire dal referto del medico del 118 delle ore 5.30 del 16 ottobre, fino ai diari sanitari del reparto detentivo del Pertini e al certificato di morte del 22 ottobre. Lo facciamo col consenso scritto ed esplicito dei familiari di Stefano, dopo aver trasmesso il materiale alla Procura della Repubblica di Roma e aver informato della nostra iniziativa l’Autorità garante della privacy. Abbiamo deciso questo passo perché da questa documentazione emerge come una moltitudine di operatori della polizia giudiziaria, del personale amministrativo e delle strutture sanitarie, abbiano assistito – inerti quando non complici – al declino fisico di Stefano Cucchi e fino alla morte. Ed emergono, con cruda evidenza, le contraddizioni, ma anche le vere e proprie manipolazioni ai danni di Stefano Cucchi e dell’accertamento della verità. E risulta soprattutto che Stefano decide di non nutrirsi e di non assumere liquidi – causa della morte, secondo i sanitari – “fino a quando non avrà parlato con il proprio avvocato” (così è scritto di pugno di un medico). Non gli fu consentito. Quella notazione è una sorta di confessione del delitto da parte di chi non ha saputo o voluto impedirlo. Balza agli occhi, in altre parole, che sulla morte di Stefano Cucchi non c’è alcun “mistero”: in quella documentazione c’è tutto. Il caso di Stefano Cucchi è diventato occasione di una riflessione pubblica sul nostro sistema di giustizia e sulle nostre strutture penitenziarie. Non solo in Italia. Ho ricevuto una richiesta d’informazioni da parte dell’ufficio londinese di Amnesty International intenzionata a condurre una propria inchiesta indipendente sulla vicenda.

(Abbiamo “cancellato” dalla documentazione nomi e cognomi del personale responsabile e alcune informazioni private su Stefano Cucchi, in nessun modo significative ai fini dell’accertamento della verità).