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Adozione, ricerca delle origini, identità

1- Il racconto - Patrizia Conti 2- La ricerca degli adulti - Francesca Avon leggi tutto

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Politicamente correttissimo
Corpi del reato
Luigi Manconi
Così misera è l’ideologia egemone che un purissimo atto d’amore, quale quello di Susanna Maiolo, è stato presentato come espressione del “clima d’odio” oggi dominante nel paese. Eppure è chiaro che si è trattato di un messaggio del cuore e che la donna voleva “toccare” il Papa (“toccare la sua veste!”, come nella letteratura devozionale più ardente) perché “pazza di Dio”.

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Idea! Sciopero degli immigrati?
PARLIAMONE


SE GLI IMMIGRATI DI MILANO DOVESSERO SCIOPERARE
Finora, almeno nei primi due giorni, si deve in buona parte a loro persino il fatturato dei saldi: la fetta più grossa di quelli che stanno spendendo soldi a Milano è fatta di stranieri.

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Sul Terrorismo islamista
Luigi Manconi

Il cattivismo al potere

“Sapete bene che è una lotta che può allargarsi all’infinito” (Osama Bin Laden)

Il terrorismo come l’abbiamo conosciuto, quello separatista/secessionista (basco, irlandese, bretone, corso…) e quello ideologico-rivoluzionario (Br, Raf, Action Directe…), anche nelle sue manifestazioni estreme e “irregolari” (dovute a gruppi minori e improvvisati), persegue una politica: e quella politica è sempre cosa diversa dalla guerra, anche quando ricorra a strumenti direttamente bellici. Proprio il logoro assioma di Karl von Clausewitz (“la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi”) segnala che, in ogni caso, un salto c’è. E che quella prosecuzione evidenzia una coerenza ma, insieme, sottolinea una discontinuità. E indica come tra politica e armi vi sia una fitta rete di relazioni, che le armi non spezzano, bensì sussumono, modificandone la forma, ma non limitandone la pregnanza. In altri termini, nel terrorismo come l’abbiamo conosciuto è individuabile comunque il modello d’azione, proprio della razionalità politica classica (o tracce di esso); una razionalità affine, in ultima istanza, alla nostra cultura e alla nostra storia politica. Una razionalità, cioè, fatta di valutazione del rapporto costi-benefici, verifica della capacità di acquisire consensi, controllo della coerenza tra obiettivo e strategia. In tale prospettiva, l’azione militare è (dev’essere) strettamente subordinata a criteri politici: deviare da questo principio significa cadere, appunto, nel militarismo. D’altra parte, individuare quale sia il discrimine tra “lotta armata” e “deviazione militarista” non è semplice: né per l’osservatore esterno né per i soggetti interessati (e non è un caso che le accuse di militarismo siano costantemente rimbalzate – indirizzate contro l’uno o l’altro – tra quanti hanno praticato la “lotta armata” nel corso degli ultimi trentacinque anni in Italia).
Un criterio possibile – ma anche esso sfuggente ed equivocabile – riguarda l’uso degli strumenti e la valutazione dei loro effetti. Per capirci: il repertorio di azioni di Eta e Ira si manifesta, in primo luogo, attraverso atti terroristici, ma non attraverso operazioni di guerra aperta. E a distinguere le due modalità e i due scenari - guerra e terrorismo - è precisamente (anche se non esclusivamente) il carattere indiscriminato o, all’opposto, selettivo dell’azione condotta, con riferimento agli obiettivi colpiti, ma anche alle armi utilizzate.

Devo riconoscere che l’insopportabile sarcasmo reazionario contro la retorica dei diritti e l’enfasi dell’umanitarismo finisce con l’avere, suo malgrado, un fondo di verità. Un fondo, forse, insospettabile e imprevedibile che si rivela in una singolare procedura, ormai assai diffusa. L’evoluzione dell’opinione pubblica e l’acquisizione da parte di essa di un certo senso comune solidaristico ha un suo peculiare effetto: misure particolarmente severe (o addirittura efferate) e provvedimenti suscettibili di creare reazioni indignate per la loro grossolanità e/o aggressività vengono presentati e argomentati, come adottati “per il loro bene”: ovvero per il bene dei destinatari-bersagli.
Si verifica qui, e nella maniera più eloquente, la validità di quella definizione che vuole l’ipocrisia come l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Esattamente così. Per argomentare non solo la presunta efficacia, ma anche la bontà di misure come la rilevazione delle impronte digitali ai bambini rom e sinti o, ancora, l’ordinanza “contro il rovistaggio” nei cassonetti, minacciata dall’amministrazione comunale di Roma, viene addotta una motivazione puntualmente ispirata al perseguimento del bene dei minori rom e sinti e dei ‘rovistatori’ dei cassonetti. Le impronte digitali verrebbero rilevate ai bambini perché solo la loro schedatura può consentire l’adozione di misure destinate all’integrazione dei minori stessi: sarebbe dunque necessaria, la rilevazione delle impronte, per consentire, per esempio, l’avvio di quei bambini all’istruzione scolastica. Così come l’ordinanza ‘contro i rovistatori’, secondo il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sarebbe motivata dalla necessità di difendere dalle infezioni gli stessi ‘rovistatori’. Ma una tale impostazione dialettica sembra essere davvero quella prevalente a proposito di tutte le misure relative all’ordine pubblico e, segnatamente, a quelle indirizzate nei confronti di presunte minacce sociali correlate a particolari situazioni di marginalità e di degrado. Così l’espulsione degli immigrati irregolari viene eseguita “per il loro bene”, così come per il loro bene si vuole qualificare come reati l’ingresso e la permanenza irregolare nel nostro territorio nazionale; con analoga motivazione era stato progettato, nel corso della quattordicesima legislatura, l’abbassamento dell’età della imputabilità per i minori; e infine, nell’ottobre del 2008, la Camera dei deputati ha approvato una mozione con la quale si chiede l’istituzione nella scuola dell’obbligo di “classi di inserimento” riservate ai bambini stranieri: tutto ciò, ovviamente, al solo scopo di “prevenire il razzismo” e “realizzare una vera integrazione” (Roberto Cota, presidente del Gruppo della Lega Nord alla Camera).

 
Manconi ad Alfano: 10 mila detenuti in più nel 2010
Signor ministro della Giustizia,
l'annus horribilis del sistema penitenziario si va concludendo nel modo peggiore. E più tragico. Le cifre del disastro, ormai sufficientemente note, rappresentano altrettanti picchi di uno stato di perenne emergenza e danno la misura di una istituzione al collasso. Due dati colpiscono in particolare. L'elevatissimo numero delle morti in carcere, dovute, in percentuale rilevante, a “cause da accertare”. L'altissimo numero di quanti si tolgono la vita: 71 (le statistiche ufficiali indicano una cifra minore ed è un segno ulteriore dell'opacità del sistema).

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23 dicembre 2009 :

* Il 70° detenuto suicida è morto proclamandosi innocente… e se lo fosse stato davvero?
* Rebibbia, si suicida killer dei Mazzarella
* Immigrati, tensione al Cie di Ponte Galeria

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Come è morto Stefano Cucchi
secondo il DAP (Amministrazione penitenziaria)
 
22 dicembre 2009  
Un altro suicidio misterioso?
Luigi Manconi: “Alfonsina Toriello: ‘Pesava poco più di quaranta chili, aveva quasi certamente un tumore, ma veniva solo imbottito di psicofarmaci e non prendeva più le medicine per la cirrosi epatica. Non si reggeva in piedi: qualcuno deve spiegarmi come sia possibile che in quelle condizioni sia riuscito ad arrampicarsi alla grata e legarsi quella cinta al collo’. Se questo ultimo suicidio viene considerato ‘misterioso’ dalla sorella di Marco Toriello, che si è tolto la vita tre giorni fa nel carcere di Salerno, è a causa della soffocante e crescente opacità del sistema penitenziario, dove domina ormai un regime di omissione di soccorso e di frequente abbandono terapeutico. Analogamente a quanto accaduto nel carcere di Teramo, abbandonato dagli uomini e da Dio, ‘nemmeno un prete per chiacchierare’: anche il cappellano manca da molti mesi. Per questo appare ancora più indecente il sospiro di sollievo, che si avverte in alcuni ambienti dell’amministrazione e dei sindacati della polizia penitenziaria, per il fatto che Uzoma Emeka, detenuto nigeriano, sia morto ‘solo’ per tumore cerebrale. Dunque, la sua morte non è immediatamente collegabile al fatto di essere stato tra i testimoni del pestaggio avvenuto in quel carcere alcune settimane fa, per il quale il comandante è stato sospeso dall’incarico. Il risultato dell’autopsia rischia, così, di far dimenticare due circostanze altrettanto inquietanti: 1) il malore che ha portato alla morte del detenuto era stato preceduto, due giorni prima, da un altro grave episodio, al quale non aveva fatto seguito alcun provvedimento sanitario né alcuna forma di assistenza specialistica; 2) dopo il malore del venerdì mattina, alle 8.30, si sono aspettate molte ore (4 o 5) prima di disporre il ricovero in ospedale. Si è avuta cosi la 172esima morte in carcere nel corso degli ultimi 12 mesi; e lo stesso giorno si è registrato il 69esimo suicidio del 2009 (sempre che anche quest’ultimo non sia ‘misterioso’). È il numero più alto di suicidi (eguagliato solo nel 2001) degli ultimi due decenni: e si ricordi che in carcere ci si toglie la vita 17-18 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere. Su tutto ciò il silenzio del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, risulta assordante e tragicamente bizzarro. Immaginiamo che sia in tutt’altre faccende affaccendato o che, esausto per l’eccessivo carico di lavoro, abbia deciso di godersi in anticipo le ferie natalizie. Gli auguro tanta, tanta, serenità.”
 
Una morte sospetta nel carcere degli abusi
Luigi Manconi:
“Da informazioni giunte ad A Buon Diritto, il detenuto Uzoma Emeka, considerato uno dei testimoni del “massacro” avvenuto nel carcere di Teramo, sarebbe morto a causa di un tumore al cervello. Se questa diagnosi venisse avvalorata dall’autopsia prevista per le prossime ore, si avrebbe la conferma del grave stato di “abbandono terapeutico” nel quale versava Uzoma e nel quale versa l’intero sistema penitenziario italiano. Infatti, 48 ore prima del malore che ha portato infine Uzoma Emeka – con colpevole e gravissimo ritardo – al ricovero in ospedale, il detenuto già si era sentito molto male. Dunque, i segnali di una condizione particolarmente compromessa – in un soggetto tossicodipendente e depresso – erano già tutti riconoscibili. Ma il carcere di Teramo è, sotto tutti i profili, un autentico disastro. Mi auguro che il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che da settimane non risponde alle interrogazioni del deputato Rita Bernardini su quell’istituto penitenziario, trovi finalmente il tempo per fornire qualche spiegazione.”

“Forse è vero che il carcere di Teramo, come scrive oggi un grande quotidiano, nasconde dei “misteri”. Non sappiamo, ma in ogni caso è certo che a Teramo si è verificato l’ennesimo caso di “abbandono terapeutico”, se è vero che un detenuto nigeriano, Uzoma Emeka, sentitosi male alle 8.30 è stato ricoverato in ospedale quasi cinque ore dopo. Ora, va da sé, si parla di “morte per cause naturali”: ma sappiamo che oltre il 50% dei decessi in cella è classificato come dovuto a “cause da accertare”. Autolesionismo, abusi, morti improvvise, overdose presentate come suicidi, suicidi presentati come overdose, mancato aiuto, assistenza negata, è un vero e proprio regime di omissione di soccorso quello che governa il sistema penitenziario italiano. Sullo sfondo di questo tragico avvenimento, l’ultimo di una lunga teoria di morti o inspiegate o sospette, c’è la vicenda del “negro ha visto tutto”, del “massacro” involontariamente confessato, dei testimoni che esitano a parlare. Forse non ci sono “misteri” nel carcere di Teramo, ma certamente c’è un bubbone che va eliminato.”
 

TERAMO Audio choc dal carcere

Giallo sulla morte del detenuto testimone di un pestaggio

MAURO MONTALI
Il capo degli agenti era stato rimosso dal monistro Alfano: in un nastro parole compromettenti sulle botte
«Il Negro» è morto.

 

 
Finisce con l'archiviazione il caso di Aldo Bianzino
 
Un primo piccolo successo contro il reato di clandestinità

“Oggi  il Giudice di pace di Agrigento, competente a giudicare gli immigrati imputati del reato di clandestinità, che sbarcano sulle coste della Sicilia, ha accolto le diverse eccezioni di costituzionalità sollevate dall’ Avvocato Ernesto Maria Ruffini e dall’avvocato Danika La Loggia per conto dell’associazione A Buon Diritto. In particolare, secondo il giudice, la norma presenta profili di incostituzionalità per la sua irragionevolezza e per la lesione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione e delle norme internazionali sulla tutela dello straniero. Si tratta di un primo, circoscritto ma assi importante, risultato positivo per arrivare alla pronuncia di incostituzionalità di una legge che lede un diritto fondamentale della persona.”
 
Internet no alla censura. Basta un clic
Michele Ainis
La Stampa  15.12.2009