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Habeas corpus

articolo - italia - - Il Manifesto - Luigi Ferrajoli - Diritti e Giustizia

[01/05/02] Dovrebbe finalmente essere chiaro di che pasta è fatto il liberalismo della «Casa delle libertà». L'aggressione ai magistrati napoletani da parte di ministri ed esponenti della maggioranza, cui si sono penosamente accodati taluni dirigenti del centro sinistra, investe la giurisdizione nella più classica e preziosa delle sue funzioni di garanzia: la tutela delle libertà dei cittadini contro gli abusi e le violenze poliziesche. Non la garanzia di una qualsiasi libertà, ma della libertà più importante e, rispetto a tutte le altre, pregiudiziale: la libertà e l'integrità personale, ossia l'immunità da arresti arbitrari e da torture. In breve, l'habeas corpus nei rapporti tra stato e cittadino. E' questa la questione di fondo, la posta oggi in gioco: non solo l'indipendenza della magistratura, la soggezione della polizia al diritto e l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge, ma prima ancora la tenuta delle libertà fondamentali e con essa la difesa della nostra identità non di sudditi ma di cittadini. Giacché è nella soggezione alla legge e perciò al controllo giudiziario dei comportamenti della polizia che risiede il discrimine tra stato di diritto e stato di polizia. Di fronte alla denuncia di fatti gravissimi - le sevizie e le violenze contro 83 cittadini inermi, molti dei quali trascinati arbitrariamente nella caserma Raniero dagli ospedali in cui erano stati ricoverati per le lesioni subite nel corso della manifestazione - si doveva procedere o invece insabbiare l'inchiesta? Naturalmente gli imputati si presumono innocenti e le accuse ad essi mosse dalla procura di Napoli dovranno essere provate con tutte le garanzie del contraddittorio. Ma proprio a questo serve il processo. Naturalmente la detenzione cautelare - non in carcere, si badi, ma nel proprio domicilio - si giustifica, onde impedire l'inquinamento delle prove, per il solo tempo strettamente necessario a svolgere gli interrogatori degli imputati. Ma è proprio questa detenzione e ancor prima l'accusa che hanno fatto scandalo: non certo per il timore della loro effettiva fondatezza, quanto al contrario per la pretesa che delle accuse dovesse essere ritenuta aprioristicamente, in forza della «solidarietà» che il Polo considera comunque dovuta alla polizia, l'infondatezza. Sono quindi l'insindacabilità e l'impunità delle forze di polizia a essere rivendicate dalla destra: non solo e non tanto in vista del processo napoletano, ma in vista di ogni altro processo per fatti analoghi, a cominciare da quelli di Genova. In vista, in altre parole, di un mutamento istituzionale - nel senso comune ben prima che con apposite riforme, del resto immediatamente proposte da parlamentari di An e di Forza Italia - che equivarrebbe, letteralmente, alla trasformazione del nostro «stato di diritto» in uno «stato di polizia». Ed è sconcertante che, dopo tante battaglie per la democratizzazione della polizia, non siano gli stessi poliziotti a ribellarsi per primi a questa degradazione della loro funzione, che degrada insieme la loro personale dignità non meno di quella di noi cittadini. Del resto è l'insieme dei diritti fondamentali e delle loro garanzie che la politica di questo governo sta progressivamente aggredendo: dai diritti del lavoro ai diritti all'istruzione e alla salute, fino alla libertà del dissenso e al pluralismo dell'informazione nella televisione pubblica. Quanti ancora intendono accreditare il berlusconismo come liberalismo, in un qualsiasi significato di «libertà» che non sia l'arbitrio del potere e il disprezzo per le regole e i diritti altrui, hanno ormai materia abbondante su cui riflettere.


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