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La libertà vista da sinistra

articolo - italia - - - La Repubblica - Luigi Manconi - Diritti e Giustizia

[17/12/02]

La sacrosanta reazione di scandalo di fronte agli arresti di militanti anti-globalizzazione per reati di opinione non deve rimanere senza conseguenze. Può tradursi – se il centrosinistra lo vuole – in un´occasione di battaglia politica e culturale. Di più: nell´opportunità di modificare alcuni tratti particolarmente significativi, e penalizzanti, dell´identità pubblica dell´opposizione. Ebbene, non c´è dubbio che il centrosinistra trasmetta un´idea di serietà e di onestà, di rigore e di giustizia (per lo meno, più di quanto la trasmetta il centrodestra): ma non trasmette, certo, un´idea di libertà. Per un antico vizio statolatrico e per una serie di ragioni più recenti, il centrosinistra risulta incapace di proporsi come titolare delle battaglie per i diritti e per le garanzie e come difensore delle prerogative dell´individuo e dell´autonomia del singolo; in una parola: come tutore "delle" libertà.
La sinistra, in particolare, viene vissuta come vigile custode delle garanzie sociali, ma non altrettanto sollecita verso le garanzie individuali; e quando pure queste ultime vengono assunte come obiettivi politici, fatalmente scivolano, sempre e comunque, in una collocazione successiva e subalterna. Persino quando l´attenzione viene focalizzata sui diritti è, a ben vedere, la dimensione collettiva – ancora una volta "sociale" - di quei diritti, che viene valorizzata. Anche in occasione del conflitto intorno al Gay Pride del 2000, l´accento venne posto – più che sull´affermazione dell´autonomia dell´individuo rispetto alla propria sessualità – sulla questione, indubbiamente assai importante, della libertà di espressione e di manifestazione: questione decisiva, ma – appunto – classica e trattata in termini tradizionali.
Tutto ciò per dire che il messaggio di libertà che il centrosinistra trasmette risulta, perlomeno, parziale e contraddittorio: tanto più se consideriamo che la nostra è una società dove la "domanda di autonomia" è particolarmente sentita e si manifesta attraverso pulsioni e istanze, pretese e bisogni diversificati e controversi e, comunque, assai intensi. E per domanda di autonomia si deve intendere un´esigenza plurima, contraddittoria e, spesso, non mediata: ne sono immagine, per così dire, plastica, la gag di Corrado Guzzanti che, nell´"Ottavo Nano", dà sfogo ai "più bassi istinti" così come il "desiderio di maternità comunque", soddisfatto da Severino Antinori.
Si tratta di altrettante manifestazioni estreme (ed entrambe, a modo loro, grottesche) di quel medesimo bisogno di libertà; e la Casa, appunto, delle Libertà sembra rispondervi. Contrapporre a tutto ciò un programma adeguato, dove si tuteli il massimo di autonomia individuale e, insieme, il massimo di responsabilità sociale è, evidentemente, impresa ciclopica. Ma, credo, indispensabile. E si può partire proprio dall´impegno per la piena e incondizionata libertà di pensiero e per l´abrogazione dei reati di opinione. E questo richiede qualche sacrificio "ideologico". Il primo, e il più gravoso, consiste nel mettere in discussione e riformare la stessa "legge Mancino" (205/93) in materia di "discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi". Gravoso, tra l´altro, per chi scrive, che di "razzismi possibili" si interessa dal 1984. E tuttavia, quella legge – il cui intento resta interamente condivisibile – contiene norme che compromettono la libera espressione delle idee.
Si dirà: idee infami, ed è certamente vero, ma il rischio illiberale (la tentazione inquisitoria e antigarantista) si manifesta proprio nella pretesa di distinguere tra opinioni degne di tutela e opinioni meritevoli di interdizione. La riprovazione morale e intellettuale verso queste ultime può manifestarsi più efficacemente, a mio avviso, se non ricorre a sanzioni penali. Dunque, si può operare perché l´opinione razzista resti opinione e, per ciò stesso, non sanzionabile: e, invece, sia severamente punita quando diventa atto di discriminazione. Allora sì che l´opinione – traducendosi in azione e lesione di terzi – va sottoposta a repressione penale.
In altri termini, l´attuale normativa – per come è formulata e interpretata - finisce col sanzionare allo stesso modo la propaganda e le azioni: e col compromettere i principi di materialità, personalità e offensività propri del reato penale. Rischia, cioè, di punire per ciò che si è e non per ciò che si fa: o – specularmente - di minacciare molti e di non sanzionare alcuno.
Una sinistra che voglia prevenire e reprimere gli atti di discriminazione razzista può rinunciare a perseguire – per serissime ragioni di principio - le idee razziste quando rimangono tali e quando si manifestano solo attraverso espressioni verbali. Questo non limiterà, in alcun modo, la capacità della sinistra di contrastare la xenofobia e l´intolleranza (anzi, a mio avviso, potrà farlo più efficacemente) e le darà maggiori opportunità di dirsi e di essere, veramente, "dalla parte delle libertà". Di tutte le libertà.


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