«Argentina, grande decisione ma continuiamo a vigilare»
Intervista ad Estela Carlotto
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[14/08/03] BUENOS AIRES Quello di ieri è stato un giorno davvero speciale per Estela Carlotto, la combattiva presidente delle «Abuelas» della Piazza di Maggio. Si è svegliata con la notizia dell'approvazione da parte della Cam era dei Deputati del progetto per l'annullamento delle «leggi d'impunità». Poi, nel pomeriggio, insieme alle altre nonne e ad amici e collaboratori, si è recata alla Plata, la sua città natale, per partecipare alla investitura di suo figlio Remo come nuovo segretario per i Diritti Umani della provincia di Buenos Aires, la più importante e popolosa dell'Argentina.
Prima la decapitazione di buona parte delle vecchia cupola militare, poi l'arresto dei 45 militari ricercati dal giudice spagnolo Baltazar Garzon, infine il via libera della Camera dei Deputati all'annullamento della legge del Punto finale e dell'Ubbidienza dovuta. Con il nuovo presidente Nestor Kirchner sta davvero cambiando il vento in Argentina?
«Credo davvero di sì, ed è la prima volta in tanti anni. Nelle ultime settimane sono stata più volte invitata alla Casa Rosada e ho potuto conoscere di persona il nuovo presidente. Fin dal primo incontro ci ha fatto capire di essere davvero determinato a riaprire il cammino della verità e della giustizia nel nostro paese. Sente di avere la forza politica per farlo e sa che l'opinione pubblica argentina, in questo momento, sta dalla sua parte. Senza giustizia non si può costruire le basi di una nuova società. E non mi riferisco solo alle violazioni dei diritti umani dell'ultima dittatura militare ma anche ai casi di corruzione dell'epoca menemista, agli attentati alla comunità ebraica negli anni novanta, alla violenza della polizia. L'Argentina deve fare i conti con queste ombre del suo passato se vuole risollevarsi dalla crisi in cui è caduta. Ora, questa sorpresa rispetto a quanto sta facendo il governo non si traduce da parte nostra in un appoggio incondizionato ed accondiscendente. I gruppi in difesa dei diritti umani, così come i sindacati e le nuove formazioni sociali nate negli ultimi anni hanno l'obbligo di vigilare da vicino, di controllare mossa dopo mossa l'operato di chi ci governa».
Il progetto di legge approvato dalla Camera passerà la prossima settimana al Senato, dove appare scontata la sua approvazione. Molti costituzionalisti, però, sostengono che dal punto di vista giuridico tutto ciò non basterà, già che la decisione finale sulla validità o meno di una legge spetta in realtà al Potere Giudiziario, cioè alla Corte Suprema. Concorda con questa analisi?
«Si. Allo stesso tempo, però, credo che sia importante sottolineare il messaggio politico della decisione adottata dal nostro Parlamento. I rappresentanti del popolo hanno recepito una domanda legittima di giustizia che arriva dalla società argentina nel suo insieme, amplificata dalla volontà e determinazione del Presidente della Repubblica. Credo che i giudici della Corte Suprema non potranno ignorarlo».
Che succede, ora, con i 45 militari su cui pendono le richieste d'estradizione da parte del giudice spagnolo Baltasar Garzon?
«Sono due cammini distinti che devono proseguire parallelamente. L'iter d'estradizione è un processo lento e graduale che deve seguire il suo corso naturale. Allo stesso tempo, però, si deve fare tutto il possibile per creare la possibilità di riaprire i processi in patria, che coinvolgeranno molti più militari di quelli richiesti dalle magistrature dei paesi europei. Una cosa non preclude l'altra, anche se è chiaro che l'obbiettivo è di fare giustizia qui in Argentina».
Il governo di Silvio Berlusconi, a differenza di quanto ha fatto quello francese, non ha reiterato ancora la richiesta d'estradizione per il tenente della Marina Alfredo Astiz, accusato di aver ucciso tre cittadini d'origine italiana. E nemmeno per il generale Carlos Suarez Mason, condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Roma per l'uccisione di altri nostri connazionali. Tra questi ultimi vi era anche sua figlia Laura. Come giudica questo ritardo?
«Il processo italiano è stato estremamente importante per noi. Il governo dell'allora presidente Romano Prodi si costituì parte civile dimostrando l'interesse e il coinvolgimento dell'Italia a fianco della nostra lotta. Recentemente sono stata insignita Commendatrice della Repubblica da parte del Presidente Ciampi. Conosciamo il grado di conflittualità esistente oggi in Italia sul tema della giustizia. Ma l'appoggio alla ricerca della verità e giustizia per i crimini commessi durante la dittatura nel nostro paese è una questione di Stato che va al di là degli scontri di partito. Per questo ci aspettiamo che si continui sulla linea di coerenza dimostrata finora».
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