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Nella Padoa, la vittoria ha un gusto amaro

Credo che abbia un retrogusto amaro, la vittoria di Nella Padoa, nata 74 anni fa a Bologna, di religione ebraica. Eppure si tratta di una vittoria: e assai significativa (...)

articolo - - - - L'Unità - Luigi Manconi - Diritti e Giustizia

[27/03/03] Credo che abbia un retrogusto amaro, la vittoria di Nella Padoa, nata 74 anni fa a Bologna, di religione ebraica. Eppure si tratta di una vittoria: e assai significativa (anche, nel nostro piccolo, dell’ “Unità” e di Mario Pirani di “Repubblica”, che hanno sostenuto la sua battaglia). Le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno riconosciuto il suo diritto al “risarcimento” dei danni subiti. In realtà si tratta dell’ “assegno vitalizio di benemerenza” (equivalente a 768.000 vecchie lire, pari alla cosiddetta “pensione sociale”), destinato alle vittime delle leggi razziali del 1938, volute dal regime fascista. Dunque, la Corte dei conti ha stabilito quanto ragionevolezza e senso di umanità, consapevolezza storica e intelligenza della vita avrebbero già dovuto riconoscere molti anni fa. Ovvero il fatto che una bambina di nove anni, esclusa da scuola a causa delle leggi razziali, ha subito “una specifica azione lesiva, proveniente dall’apparato statale e intesa a ledere la persona nei suoi valori inviolabili” (così la sentenza). È esattamente questo il caso di Nella Padoa, poliomelitica dalla nascita, espulsa da una scuola elementare di Bologna, poi fuggita dalla città, arrestata dalle SS, imprigionata, minacciata di deportazione e infine liberata. Ciò nonostante, la Commissione di prima istanza, incaricata di vagliare le richieste, le negò, a maggioranza, il diritto all’assegno; poi la Corte dei conti dell’Emilia Romagna accolse il suo ricorso e il ministero dell’Economia propose appello. La Corte dei conti, di conseguenza, ha investito della decisione le Sezioni riunite della Corte stessa. Ieri, finalmente, la sentenza: e positiva. Ma cosa ha comportato questa procedura, lenta e contraddittoria, in termini di attese e di frustrazioni, di aspettative deluse e di umiliazioni patite? Quali sofferenze ha significato, per la diretta interessata, il quesito – indicibile e inaudito – posto dal ministero dell’Economia: ovvero cosa accadde nel cuore e nella mente di una bambina ebrea, 65 anni fa? In altri termini: quell’espulsione da scuola – questo il contenzioso sollevato dall’Avvocatura dello Stato - fu vera persecuzione o solo (solo?) “mera soggezione alla legislazione razziale”? La Corte dei conti ha deliberato con equità e intelligenza. Ora resta il problema di tutti coloro che si trovano nelle medesime condizioni di Nella Padoa (dal 1955, quando la legge fu approvata, a oggi sono state assai poche le richieste accolte); e resta, nella nostra società, quell’umore di fondo – non detto e, più spesso, fieramente negato – che rivela un anti-ebraismo latente, non ideologico né biologista. Ma semplicemente e crudelmente “culturale”, fatto di luoghi comuni e di tic verbali, di pregiudizi ordinari e di riflessi condizionati. Che poi, tutti, si traducono in resistenze burocratiche e diffidenze amministrative, quando la bambina ebrea – diventata donna anziana – si rivolge allo Stato italiano e ai suoi inflessibili funzionari.


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