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I diritti di chi convive

articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[16/10/02]

Andrea L., ancora minorenne, subisce
gravi danni a seguito di
un incidente stradale. Il responsabile,
Gianluca R., viene condannato
per lesioni colpose e i genitori del minore
si costituiscono parte civile per chiedere
il risarcimento dei danni morali,
nella loro qualità di «conviventi di parte
offesa». I legali di Gianluca R. si oppongono
con l'argomento che la «semplice
convivenza» non può dare diritto
al risarcimento. Ed ecco intervenire la
sentenza della Corte di Cassazione: «La
scelta di coabitare può ormai considerarsi
ad un tempo stabile e aleatoria né
più né meno che qualunque altra scelta
di convivenza operata ad altro titolo»; e
ciò, tra l'altro, «in considerazione dell'
essere venuto meno da ormai lunghissimo
tempo il carattere di stabilità del
vincolo matrimoniale». Questa la conclusione:
«La lesione di ogni forma di
convivenza purché dotata di un minimo
di stabilità, tale da non farla definire
episodica (…), costituisce legittima
causa per chiedere il risarcimento».
A parte una puntata del "Maurizio Costanzo
Show", non sembra che quella
sentenza abbia suscitato grande interesse.
E dire che materia di riflessione per
chi ha a cuore - o dice di avere a cuore -
i diritti civili, quella sentenza, ne offre a
bizzeffe. Si consideri la situazione di chi
condivide un'intera esistenza (o anche
cinque, dieci anni), affronta gli impegni
e le responsabilità che ciò implica,
ma non può contare sui benefici che
comporta. Penso alla vicenda di Giovanna
Morelli e del suo compagno,
Gianni, conviventi per otto anni. Gianni,
un brigadiere della guardia di Finanza,
è in attesa di divorzio e ciò impedisce
qualunque regolamentazione dell'
unione. A seguito di un tumore maligno,
nel maggio del 1999, l'uomo muore:
e solo pochi giorni prima della sua
scomparsa, arriva - infine - la notizia
del divorzio. Purtroppo, la coppia non
era a conoscenza del fatto che fosse sufficiente
la sentenza del tribunale, prima
ancora della sua notifica, per poter contrarre
il matrimonio: e così, solo quando
Gianni è ormai in agonia, il matrimonio
diventa possibile, ma i medici
non certificano la capacità di intendere
e di volere dell'uomo. Giovanna Morelli,
pertanto, resta vedova di Gianni, senza
mai averlo potuto sposare. Vedova,
ma non per lo Stato: e, quindi, non
titolata a ottenere la reversibilità delle
garanzie economiche delle quali beneficiava
quello che solo una legge eccessivamente
rigida ha impedito diventasse
suo marito.
La recente sentenza della Cassazione ha
il merito di ristabilire una verità, appunto,
«di fatto», come sono «di fatto» quelle
coppie (circa un milione, nell'Italia
di oggi) che convivono stabilmente, in
assenza di un vincolo formale; e pone
le questione della convivenza in una
dimensione tutta diversa da quella cui
la vogliono costringere gli oppositori.
Non un espediente giuridico per legittimare
e «istituzionalizzare il libertinaggio
» (interessa davvero a qualcuno?),
bensì una «forma coniugale» adottata -
per necessità o per scelta - in alternativa
al matrimonio.
Se cominciamo a pensare che le modalità
della convivenza e i modelli di famiglia
possono essere molti e differenziati,
ma che tutti aspirano - appunto - a
essere famiglia (ovvero progetto, solidarietà,
condivisione), la prospettiva potrà
cambiare. E il riconoscimento giuridico
di questa pluralità di relazioni -
anche tra individui dello stesso sesso -
si rivelerà un interesse sociale e un bene
collettivo.
Ah, a proposito, lunedì prossimo nella
sede dell'ambasciata francese, a Roma,
si celebrerà il matrimonio tra Alessio
De Giorni e Christian Panicucci: potranno
farlo in base alla legge francese
del 1999, che prevede il pacte civil de
solidarité (accordo di convivenza).
Stiamo parlando della Francia, beninteso.


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