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Terapia del dolore, il passo lento dell’Italia

Sono passati oltre tre anni dall’approvazione della legge che ha semplificato le procedure relative alla prescrizione dei farmaci a base di morfina. Quella norma, come spesso avviene in Italia, ha prodotto risultati disomogenei: in alcune regioni e in alcuni centri d’eccellenza (uno per tutti, il Centro di riferimento oncologico di Aviano) le cose sono sensibilmente migliorate; in altre, nulla sembra essere cambiato.

articolo - italia - - - Unita' - Andrea Boraschi, Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[16/11/04] Sono passati oltre tre anni dall’approvazione della legge che ha semplificato le procedure relative alla prescrizione dei farmaci a base di morfina. Quella norma, come spesso avviene in Italia, ha prodotto risultati disomogenei: in alcune regioni e in alcuni centri d’eccellenza (uno per tutti, il Centro di riferimento oncologico di Aviano) le cose sono sensibilmente migliorate; in altre, nulla sembra essere cambiato. A confermarlo ci sono le statistiche, che ci informano come l'Italia sia ultima, insieme alla Grecia, nella graduatoria europea dell'utilizzo di terapie contro il dolore; e, addirittura, quintultima nel mondo - secondo Roberto Messina, segretario generale dell'Osservatorio della terza età - con 150 prescrizioni medie giornaliere per milione d'abitanti (seguita soltanto da Ecuador, Cina, Bolivia e Algeria). Non si tratta, evidentemente, di soffermarci su queste classifiche con spirito agonistico: la delicatezza della questione non lo ammette. Si tratta, piuttosto, di fornire un indice intuitivo dello stato della medicina palliativa nel nostro paese. Che risulta ancor più preoccupante se teniamo presenti i seguenti dati epidemiologici: in Italia ci sono circa trecentomila malati interessati da dolori gravissimi; metà di questi sono affetti da tumore non reversibile, l'altra metà soffre patologie neurologiche, respiratorie, cardiache, infettive. Se ci riferiamo a forme di dolore pur sempre croniche e persistenti, ma meno acute, le cifre crescono ancora: secondo Sebastiano Mercadante (del Dipartimento oncologico La Maddalena di Palermo), a essere colpito da sofferenze di questo genere sarebbe il 14% degli italiani. E ancora: il 75% dei malati di tumore affronta, nel decorso della sua patologia, l'esperienza del dolore intollerabile; e tra quanti diventano malati terminali, solo il 9% ha accesso a cure palliative, che leniscono la sofferenza nelle ultime fasi di vita. I farmaci antidolore oggi più utilizzati sono gli antinfiammatori che, oltre a costare dieci volte più degli oppiacei, comportano un sensibile rischio di tossicità, specie negli anziani (ovvero nei pazienti dove è più frequente una sintomatologia dolorosa e cronica). Pure, la morfina e i suoi derivati, secondo molti studi scientifici prodotti negli anni, si rivelano farmaci efficaci, di facile impiego e con modesti effetti collaterali (anche la dipendenza psicologica e la depressione respiratoria, ritenute tra le conseguenze più diffuse, sono state confutate da numerose ricerche). All’origine dello scarso ricorso a questi farmaci vi sono, dunque, altre cause. La prima va ricercata in una sorta di riflesso “proibizionistico” che, nell’ambizione di bandire tutti gli stupefacenti dalla nostra vita sociale, ha stretto le sue maglie anche intorno alla sperimentazione e all'impiego degli oppiacei a fini terapeutici. Ne deriva che la legislazione sanitaria italiana, nel tentativo di disciplinare l’impiego di queste sostanze, ha finito col dissuadere il medico dal prescriverle. La volontà del legislatore di proteggere la collettività dalle possibili forme di abuso si è rivelata, nei fatti, uno strumento di perpetuazione della sofferenza dei malati più che di argine al mercato illegale di sostanze. Altre cause ancora: la centralità, nel nostro sistema sanitario, del medico generico, spesso poco preparato in materia di medicina palliativa; e, poi, la diffusione di quella che è stata definita come una vera “oppiofobia”: l’incapacità, cioè, di discernere le evidenze scientifiche riguardanti i trattamenti sanitari del dolore dalle paure della “tossicodipendenza”, coltivate nell'immaginario collettivo; e, infine, lo scarso investimento di risorse professionali ed economiche nella ricerca su questa branca della medicina. A monte di tutto ciò vi è l'indisponibilità a riconoscere che il dolore, in molti casi, non è un semplice sintomo, e men che meno un sintomo inevitabile: è, piuttosto, una patologia in sè. Vera e propria. Ovvero «un modo di essere, di vivere, di percepire» (Blengini): insomma, una condizione generale e pervasiva dell’esistenza di molti uomini e donne. Ecco perché la terapia del dolore grave e persistente non dovrebbe limitarsi alle fasi terminali delle malattie neoplastiche e a poche altre condizioni “classiche” (come lo scompenso cardiaco grave); piuttosto, dovrebbe allargarsi a varie condizioni patologiche, dove la sofferenza cronica invalida la vita e ne limita gravemente la funzionalità (come nel caso del dolore neuropatico per lesioni nervose centrali o periferiche, che colpisce un numero sempre crescente di persone, a seguito dell'invecchiamento della popolazione). Questo scenario dolente sembra ora conoscere una buona notizia: dal 2005 tutti i farmaci contro il dolore saranno gratuiti (perché inseriti nella cosiddetta fascia A, invece che nella C, com'è ora); e, cosa forse ancor più importante, saranno disponibili sul mercato italiano altri prodotti a base di oppiacei, finora assenti. Questa misura - per quanto drammaticamente tardiva - potrebbe rivelarsi utile allo sviluppo, nel nostro paese, di una medicina palliativa più organica e più attenta alle esigenze del paziente. Il ministro Gerolamo Sirchia ha scritto una lettera ai medici: "trattare il paziente con dolore - vi si legge - è un obbligo morale di tutti gli operatori sanitari che non può essere disatteso". E meno male. Certo, la classe medica rimarrà, com'è inevitabile, la vera depositaria degli indirizzi terapeutici: ed è ai medici, più che a chiunque altro, che bisogna rivolgersi affinché sia dato un serio impulso all'impiego di oppiacei nel trattamento del dolore persistente. Ma la classe politica deve fare la sua parte: assicurare la copertura finanziaria del provvedimento; contribuire alla semplificazione ulteriore delle procedure relative alla prescrizione di quei farmaci (si pensi ai ricettari speciali, di cui gran parte dei medici generici è tuttora sprovvista); incentivare la formazione nel campo della medicina palliativa e la diffusione di strutture ospedaliere in grado di garantirla; sostenere l'istituzione di hospices per pazienti terminali. Su alcuni di questi punti il ministro ha promesso di intervenire. Vedremo. Non vorremmo ritrovarci, tra qualche anno, a ricordare ancora (a lui e ai suoi successori) che la malattia "rende l'uomo molto più corporeo, anzi fa di lui esclusivamente un corpo" (Thomas Mann). Attenzione: quel corpo soffre. Scrivere a


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