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Verità per la morte di un detenuto

Marcello Lonzi è morto tra le 19.50 e le 20.14 del 12 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso.

articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[27/11/03] Marcello Lonzi è morto tra le 19.50 e le 20.14 del 12 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, erano stati effettuati i primi esami autoptici. L’esito di queste analisi ha indicato in una aritmia maligna la causa più probabile della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. Sul volto del giovane l’autopsia ha riscontrato tre gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità “simultaneamente”. Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di “V”. La relazione di consulenza tecnica medico-legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri “fatti traumatici” vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione (come la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta-cartilaginea). Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è la determinazione della madre, Maria Ciuffi, a giocare un ruolo fondamentale. Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all’ipotesi della morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere, e che adombrano un’altra ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte. Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni riscontrate nella sua fisiologia, e giudicate dall’autopsia del tribunale “relativamente modeste”, sono a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero portare all’infarto del miocardo. L’ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo; semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di “prove”. Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità a sollevare dubbi. Una raggiunge l’osso sottostante, un’altra penetra profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, l’avvocato della famiglia chiede se sia “compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo”; e se non sia “necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze”. Nel frattempo, Maria Ciuffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, da qualcuno che – considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata. Le è stato detto che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri con altri detenuti e con il personale penitenziario. E’ probabile che Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta – è un’ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse. Maria Ciuffi ha scritto al ministro della Giustizia, si è rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole la verità. E che sia convincente. C’è un giudice a Livorno? (C’è: e ha aperto un fascicolo). C’è un parlamentare che voglia andare fino in fondo?


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