Perchè si muore in carcere?
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[11/09/02] I fatti sono questi. Alle 17.15
dell'11 febbraio del 2001, due marescialli
dei carabinieri, in servizio
presso la Compagnia Roma-Casilina,
trovano il 27enne Andrea Panatta
morto suicida all'interno della
camera di sicurezza di quella
stessa compagnia, dove era stato
rinchiuso dalla notte precedente.
Il giovane, ritenuto responsabile
di detenzione a fini di spaccio di
sostanze stupefacenti, aveva legato
allo "spioncino" della porta la propria
cintura dei pantaloni e vi si
era appeso, lasciandosi soffocare.
Un suicidio come i molti che
si verificano nelle carceri e nei luoghi
di detenzione e che, nell'88%
dei casi, ricorrono alla stessa tecnica:
l'impiccagione. Qui, un dettaglio
aggiunge atrocità ad atrocità e
segnala possibili e - se confermate
- assai gravi responsabilità. Quella
cintura non doveva essere in alcun
modo a disposizione della persona
trattenuta in cella di sicurezza;
e, infatti, i carabinieri di vigilanza
sostengono che si trovava al di
fuori, «su uno sgabello di metallo
all'esterno della camera di sicurezza
». Dunque, come è giunta nelle
mani di Andrea Panatta?
Da qui l'azione legale dei genitori
nei confronti dei militari in
servizio presso la Compagnia carabinieri
Roma-Casilina e la querela-
denuncia, presentata il 9 agosto
scorso dall'avvocato Giacinto Canzona,
in cui si documenta la «condotta
gravemente omissiva dei carabinieri
». D'altra parte, «lo spioncino
della camera di sicurezza
avrebbe dovuto essere controllato
a vista 24 ore su 24»: e la mancata
vigilanza ha consentito a Panatta
di «utilizzare lo stesso come estremo
per attaccarvi la cintura». La
denuncia è ora all'esame della procura
della Repubblica di Roma,
ma resta - al di là delle decisioni
del magistrato - il dato crudele di
un giovane di 27 anni, presunto
responsabile di un reato (di non
grave entità, tutto sommato), che
si toglie la vita prima ancora del
trasferimento in carcere. Si tratta,
a ben vedere, di una ordinaria, ordinarissima
realtà. In carcere ci si
ammazza 19 volte più di quanto ci
si ammazza fuori dal carcere; il
45% dei suicidi non ha ancora subito
una condanna definitiva; il
53% ha meno di 35 anni; e - questo
è il dato più drammatico - quasi
il 55% si toglie la vita nei primi
sei mesi di reclusione e quasi il
64% nel corso del primo anno. In
altri termini, la scelta del suicidio
coinvolge, innanzitutto, i detenuti
più giovani, incensurati o con una
carriera criminale recente, con imputazioni
non particolarmente
gravi e con minore dimestichezza
con i circuiti carcerari, gli stili di
vita e le gerarchie lì dominanti.
Coloro, cioè, che non hanno la
minima idea del proprio destino e
ne temono l'oscurità e l'imprevedibilità.
Nel caso di Andrea Panatta,
il peso di questa incertezza è stato,
forse, determinante.
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