Di che vita morire
D’Agostino ha posto l’attenzione sul rischio che la desistenza curativa si possa trasformare in abbandono terapeutico. Un dilemma inquietante, che ci induce a riflettere su quanto sia labile il confine tra l’accanimento terapeutico e la negazione di cure che promettono la sopravvivenza. Ma la realtà ci presenta casi in cui la distinzione è più evidente di quanto l’elaborazione teorica sembra prevedere (...)
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[07/07/03] Si discute, finalmente, di Testamento biologico: ovvero della Dichiarazione anticipata di volontà in materia di trattamenti sanitari. Molti consensi e qualche critica, nel corso di un convegno (Di che vita morire), tenutosi mercoledì scorso. Le contestazioni sono arrivate, in particolare, dal filosofo del diritto Francesco D'Agostino. Tra il pubblico si trovava una persona che – chiedendo di rimanere anonima – replica, con la seguente lettera, a quelle critiche: “D’Agostino ha posto l’attenzione sul rischio che la desistenza curativa si possa trasformare in abbandono terapeutico. Un dilemma inquietante, che ci induce a riflettere su quanto sia labile il confine tra l’accanimento terapeutico e la negazione di cure che promettono la sopravvivenza. Ma la realtà ci presenta casi in cui la distinzione è più evidente di quanto l’elaborazione teorica sembra prevedere.
Primo caso: l’abbandono terapeutico. Mio padre, malato di angina instabile è stato dimesso da un ospedale perché troppo anziano e la sua aspettativa di vita, breve, non giustificava il ricorso a un intervento chirurgico. Tradotto in termini “aziendali”: il rapporto costi-benefici non era favorevole. Sarebbe morto di lì a qualche giorno se, dopo un nuovo attacco, non fossimo riusciti a farlo ricoverare al policlinico Gemelli, dove, per una diversa valutazione dei concetti di vita e di morte, si è scelto di investire in un'operazione di by-pass, con ottimi risultati. A distanza di 5 anni mio padre, oggi 81enne, è ancora in ottima salute.
Secondo caso: l’accanimento terapeutico. Mia madre, affetta da linfoma di tipo B, con metastasi diffuse e linfonodi che arrivavano a 20 centimetri: nel giro di un mese se n'è andata, in preda a dolori atroci, in una stanza di ospedale dove non poteva neanche ricevere il marito, perché aveva bisogno di essere accompagnato. Ma non era permesso far entrare più di una persona. Non una per volta: una e basta. Dunque, o entrava lui o uno di noi figli. L’ha rivista quando era già in coma. Ritorno con la mente a quei giorni: sottoposta a cure ed esami devastanti, compresa una gastroscopia che le ha fatto perdere completamente la voce. Premetto che, dalla Tac all’estrazione di un linfonodo e relativo esame istologico, abbiamo dovuto fare tutto privatamente, a pagamento. Dopo, quando la situazione stava ormai precipitando, allora è scattata l’ospedalizzazione. E mai le è stato rivelato il suo male. Solo bugie. E firmavamo noi tutte le autorizzazioni a procedere. Ci aveva chiesto, a più riprese, di tornare a casa. Il primario aveva le sue teorie: ‘non si può mai dire, potrebbe vivere’. Era convinto che bastasse la chemioterapia per salvarla, mentre le abbiamo inferto dolori più atroci di quanto la semplice malattia non potesse fare.
Ma la medicina ha molti strumenti per capire e prevedere. Nel caso del cuore, le statistiche di sopravvivenza dopo l’intervento chirurgico superano il 90% dei casi e, inoltre, si tratta di un intervento di urgenza che, se negato, significa una sicura condanna a morte. Eppure, un ospedale ha applicato l'abbandono terapeutico in nome del budget aziendale.
Nel caso del malato terminale di cancro, di quella forma di cancro, le statistiche di sopravvivenza dopo le cure segnalano percentuali bassissime anche nei casi presi ‘in tempo’. Due situazioni molto chiare e distinte, e anche molto diffuse, che spiegano bene come la vita delle persone in carne e ossa richieda scelte più coraggiose e, insieme, pietose di quanto la riflessione filosofico-giuridica, pur necessaria, riesca a comprendere”.
Nulla da aggiungere.
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