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Morire (quasi) in pace
(...) oggi sappiamo che il cuore può continuare a battere anche quando è sopravvenuta la morte cerebrale; e sappiamo che si può sopravvivere per dieci o vent’anni in stato vegetativo permanente. Sappiamo, in sostanza, che – grazie a macchine sofisticate – la persistenza della vita non corrisponde sempre all’esistenza di una persona, dotata di intelligenza e di volontà: e capace di esperienza, rapporto, comunicazione.
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[09/06/03] Per una volta, elencare tutti i sottoscrittori per nome e per cognome può forse risultare utile: ed è certamente significativo che alcuni di essi siano, non dico estranei, ma addirittura ostili all’Unità e dall’Unità ricambiati cordialmente con la stessa moneta. Eccoli, dunque, i nomi: Gabriele Albertini, Khaled Fouad Allam, Giuliano Amato, Laura Balbo, Fulvia Bandoli, Alessandro Bergonzoni, Giovanni Berlinguer, Sandro Bondi, Roberto Briglia, Cinzia Caporale, Marco Cappato, Lucio Caracciolo, Franco Cardini, Sergio Chiamparino, Franca Chiaromonte, Leonardo Domenici, Guglielmo Epifani, Renato Farina, Fabio Fazio, Carlo Flamigni, Ernesto Galli della Loggia, Paolo Gentiloni, Margherita Hack, Giovanni Jervis, Eugenio Lecaldano, Luigi Manconi, Rita Levi Montalcini, Amos Luzzatto, Sebastiano Maffettone, Massimo Moratti, Carlo Nordio, Riccardo Perissich, Mario Pirani, Alessandro Pizzorno, Valerio Pocar, Gaetano Quagliariello, Riccardo Rodolfi, Paolo Rossi, Sergio Rostagno, Chicco Testa, Umberto Veronesi, Tullia Zevi.
Uno schieramento così anomalo (per composizione culturale e politica) si realizza intorno a uno di quei temi che proprio la politica partitico-istituzionale definisce - giustamente ma, troppo spesso, con calcolo malizioso - “di coscienza”. E’ tale definizione, infatti, che consente di classificare quelle questioni come “impolitiche” e di rinviarle all’infinito perché - così pigramente si ripete – risultano “laceranti”. Quasi che, in Italia, il conformismo etico e il quietovivere culturale impedissero di legiferare su questioni che riguardano i diritti primari della persona: e che investono i valori e i dilemmi che fondano la sua stessa identità.
Eppure, questa volta, le cose potrebbe andare diversamente. I nomi e i cognomi citati corrispondono ai primi sottoscrittori della richiesta di introdurre nel nostro ordinamento il “testamento biologico” o “testamento di vita”. Ovvero il diritto dell’individuo a scegliere, in coscienza e autonomia, le cure cui sottoporsi in caso di malattia. E, infatti, il continuo progresso delle scienze mediche e delle biotecnologie rendono impalpabile, spesso, il confine tra cura doverosa e accanimento terapeutico; e quel confine sfugge, in genere, alla capacità di conoscenza e di controllo del diretto interessato: il paziente.
In altri termini, oggi sappiamo che il cuore può continuare a battere anche quando è sopravvenuta la morte cerebrale; e sappiamo che si può sopravvivere per dieci o vent’anni in stato vegetativo permanente. Sappiamo, in sostanza, che – grazie a macchine sofisticate – la persistenza della vita non corrisponde sempre all’esistenza di una persona, dotata di intelligenza e di volontà: e capace di esperienza, rapporto, comunicazione.
In tali situazioni, il testamento biologico può rappresentare lo strumento più adeguato per compiere una scelta consapevole. Dunque, una dichiarazione anticipata di volontà, che consenta a ciascuno, nel pieno possesso delle sue facoltà, di dare disposizioni riguardo a quei trattamenti sanitari cui potrebbe essere sottoposto quando la sua capacità di giudizio e di scelta fosse gravemente ridotta o annullata. Un atto formale sempre revocabile e che preveda l’indicazione di una persona di fiducia alla quale affidare scelte che il paziente potrebbe non essere in grado di assumere.
Si definisce, così, uno strumento giuridico capace di proteggere il malato dall’accanimento terapeutico: e capace di disporre l’astensione da cure dolorose o superflue, qualora la patologia si rivelasse irreversibile e gravemente lesiva della dignità della persona. Sia chiaro: non stiamo parlando di eutanasia, ma – piuttosto - di quell’ostinazione terapeutica che produce dolore senza offrire sollievo e speranza, e che prolunga artificialmente un’esistenza che non è più vita. Due senatori, uno della maggioranza (Antonio Del Pennino) e uno dell’opposizione (Natale Ripamonti), hanno presentato un disegno di legge in materia: è un’occasione importante perché il nostro paese si doti di una legge umanissima e civilissima: per dare dignità al soffrire e al morire, per evitare che il corpo e lo spirito siano sfigurati dal dolore, umiliati dalla perdita di coscienza, devastati dal decadimento dell’organismo e della mente. In altri termini, come dice il cattolico Renato Farina, per morire (quasi) in pace.
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