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I valori forti non temono contaminazioni

Una delibera di giunta della regione Campania ha previsto la possibilità, per le direzioni scolastiche, di far coincidere i giorni festivi cosiddetti “mobili” (quelli gestiti autonomamente da ogni istituto) con le festività delle comunità studentesche straniere più numerose. Si suggerisce, in altre parole, che questi periodi (alcuni giorni di vacanza aggiuntivi a quelli delle festività nazionali) possano diventare, per alcune minoranze etniche e religiose, una garanzia di maggiore libertà nell’osservanza dei loro culti e delle loro tradizioni: insomma, si può chiudere la scuola in occasione del Ramadan, del capodanno cinese, della Pesah.

articolo - italia - - - L'Unità - Andrea Boraschi, Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[12/07/04] Una delibera di giunta della regione Campania ha previsto la possibilità, per le direzioni scolastiche, di far coincidere i giorni festivi cosiddetti “mobili” (quelli gestiti autonomamente da ogni istituto) con le festività delle comunità studentesche straniere più numerose. Si suggerisce, in altre parole, che questi periodi (alcuni giorni di vacanza aggiuntivi a quelli delle festività nazionali) possano diventare, per alcune minoranze etniche e religiose, una garanzia di maggiore libertà nell’osservanza dei loro culti e delle loro tradizioni: insomma, si può chiudere la scuola in occasione del Ramadan, del capodanno cinese, della Pesah. È un’indicazione di massima e, al contempo, una possibilità: ai dirigenti scolastici rimane la piena discrezionalità nel decidere in merito a simili iniziative. Questo è quanto, verrebbe da dire. Di analisi sociologiche o di polemiche giornalistiche, su questione analoghe, se ne potrebbero produrre, e finanche sprecare, molte. La nostra società sta cambiando, e velocemente; mutamenti di questo genere sono spie macroscopiche della trasformazione in corso. Al punto che la circolare diramata da Adriana Buffardi, assessore all'Istruzione in Campania, ha quel tratto, per così dire, di innocuità, proprio di ogni provvedimento effettivamente liberale: è un’opportunità in più, una mera (e positiva, a nostro avviso) opportunità, che non lede i diritti e le prerogative di alcuno. Che può rivelarsi utile in particolari contesti e circostanze e che può essere presa in considerazione o ignorata. Non un obbligo generalizzato - è ovvio - e coattivamente imposto: non un effetto perverso del “politicamente corretto” o del “relativismo culturale” (contro cui si sono scagliati - e te pareva! - i commentatori del «Corriere della Sera», rintuzzati benissimo su queste colonne da Bruno Gravagnuolo). Ciò che merita di essere discusso, piuttosto, è la possibile efficacia di un provvedimento simile. È fuor di dubbio che la nostra preoccupazione per uno stato che tuteli il pluralismo religioso e la libertà di culto sia condivisa da Paolo Macry, che pure, sulle pagine del «Corriere della Sera», ha voluto contestare quel provvedimento. Ciò che egli mette sotto accusa è proprio quella misura di «ovvio buon senso», contenuta nella circolare, che fa dell’opzione multiculturale (termine equivoco, siamo d’accordo) una generosa ingenuità o, peggio, un vero e proprio errore politico. Macry osserva che l’identità europea e occidentale è in crisi; ciò determinerebbe una deriva «nevrotica, paranoide, psicologicamente abulica» della percezione collettiva di questa identità: e che, dunque, soluzioni come quella adottata in Campania rischiano paradossalmente di acuire - per reazione - pericolosi umori xenofobi. La scuola italiana, allora, non dovrebbe avere remore nell’affermarsi come luogo di «acculturazione allo stato laico e di esercizio dell’identità nazionale ed europea». Il suo compito, nel rispetto delle inclinazioni e delle differenti appartenenze di chi la frequenta, sarebbe quello di coinvolgere tutti, cittadini italiani e immigrati, in un progetto formativo dichiaratamente identitario. Formare, cioè, degli italiani e degli europei: combattendo, in tal modo, quei comunitarismi che Macry definisce «feroci». Ma queste sacrosante (e perfino un po’ “ovvie”) affermazioni di principio non sembrano, in questo caso, pertinenti. Chi mai ha parlato, infatti, di “equiparare” ricorrenze simboliche e festive “altre” al nostro Natale o alla nostra festa della Repubblica? E perché mai considerare quella innocente circolare come la falla attraverso la quale si finirà con l’insegnare nelle nostre scuole qualche filosofia animista, col prendere in considerazione l’ijima musulmana nelle facoltà di diritto, con l’affiancare ai crocefissi un’immaginetta di Ganesh? La capacità di inclusione che la nostra società può esercitare è direttamente proporzionale alla forza della sua cultura, e di quella giuridico-costituzionale, prima di ogni altra. Dunque, se la domanda (malposta, a nostro avviso) è quella sintetizzata da Macry, la risposta è inequivocabile. È forse vietato «stabilire gerarchie di valori» ed «esprimere - e insegnare - cosa significhi l’appartenenza a quei valori»? Detta più sbrigativamente: è possibile «sostenere che una cultura che ha elaborato la categoria della divisione dei poteri è migliore (sì, migliore) di una che non conosce questa categoria» (Ernesto Galli della Loggia)? Hai voglia che è possibile. E a tutte quelle domande, la nostra risposta è tranquillamente positiva. È un rotondo sì. Ma temere che quella benedetta circolare neghi tutto ciò è - questo sì - il primo segnale di una profonda insicurezza, di una oscura paura, di una sindrome ansiogena. Chi paventa che alla libertà di celebrazione del Ramadan segua, come in un sinistro domino, l’affermarsi di un doppio diritto con l’autogestione, da parte della minoranza musulmana, di una Sharia comunitaria, è vittima, a sua volta, di quella paranoia identitaria che Macry denuncia. Siamo italiani ed europei (che vivono insieme ad altri, che non sono italiani ed europei): dobbiamo esserlo anche nel nostro modello d’istruzione, il solo che si possa offrire a chi giunge nel nostro Paese. Ma, non dimentichiamolo, siamo “occidentali” anche nella volontà e nella capacità di garantire pluralismo (e non ateismo di Stato, come avviene in Francia con il divieto di “ostensione” del velo nella scuola pubblica); e di promuovere libertà di culto e di espressione. Che una scuola media nel casertano decida di far coincidere un giorno di chiusura con la festa di primavera cinese, piuttosto che con un italianissimo “ponte”, potrà forse infastidire qualche appassionato del fine settimana lungo. Ma col “relativismo culturale” c’entra come i cavoli a merenda.


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