La preghiera fuorilegge
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[14/12/02] Il 29 novembre scorso è stato l’ultimo venerdì di Ramadam e il giorno conclusivo del mese di digiuno e di preghiera per miliardi di musulmani di tutto il mondo.
In Italia l’evento, sul piano dell’informazione, è stato segnato dal conflitto che ha opposto, a Treviso, la comunità musulmana all’amministrazione comunale e al sindaco Giancarlo Gentilini. E quella vicenda – va da sè – ha finito per dare una rappresentazione alterata della realtà nazionale e ha suggerito l’idea che sia questo lo stato della libertà religiosa nel nostro paese. Ma le cose sono più complicate (fortunatamente, per una volta): alcune centinaia di migliaia di musulmani - immigrati, stranieri naturalizzati e italiani convertiti all’Islam – hanno potuto celebrare la propria principale festività religiosa nel corso della propria vita di relazione, all’interno dei luoghi di lavoro, nelle città e nei quartieri: e nelle carceri e negli ospedali.
In Italia ci sono tre moschee identificabili come tali (a Milano, a Roma e a Catania) e, poi, moltissimi luoghi di culto (150? 200?), ricavati in garage, cantine, piccoli appartamenti, monolocali: ovunque la fede trovi ospitalità e riconoscimento; per esempio – e non è raro – in locali messi a disposizione dalle parrocchie. Questo fa sì che l’Islam oggi, in Italia, non sia una “religione delle catacombe”. Ma è altrettanto vero che il pregiudizio islamofobico è molto diffuso e robusto. La strage dell’11 settembre 2001, il terrorismo islamista, il fondamentalismo e l’integralismo e alcune vicende di criminalità hanno rafforzato l’equazione musulmano = terrorista, con effetti rovinosi. Le parole scellerate del sindaco di Treviso e del gruppo dirigente della Lega sono la manifestazione, torva ed eccitata, di una diffidenza che circola nel corpo sociale; e quelle stesse parole, e gli atti conseguenti, alimentano l’intolleranza e legittimano l’ostilità. Anche nel nostro paese gli “imprenditori politici del razzismo” traducono in mobilitazione – e in mobilitazione politica – lo stress sociale che induce gli strati più deboli a guardare gli stranieri come “nemici” e “concorrenti” (se non per il lavoro, per lo spazio, per le opportunità, per le risorse simboliche). Di conseguenza, la religione rischia di rappresentare, in un paese che continua a pensarsi (a fingersi) monoreligioso, un forte motivo di conflitto: in buona parte simulato, fittizio, “inventato”, ma non per questo meno pericoloso. Da qui l’importanza di una legge sulla libertà religiosa, che attende – da oltre dieci anni – di essere approvata (e che, attualmente, è bloccata dall’opposizione della Lega nella commissione Affari costituzionali della Camera); da qui l’urgenza di un’intesa tra lo Stato italiano e le comunità musulmane, per riconoscere e disciplinare l’esercizio delle attività di culto e di organizzazione e le diverse forme di vita proprie della religione musulmana (riti, pratiche alimentari, festività). Senza un tale quadro normativo, l’affermazione di quel diritto fondamentale della persona che è la libertà religiosa sarà affidata alla discrezionalità della singola amministrazione locale e del singolo imprenditore. Ovvero l’esatto contrario del diritto.
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