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Un risarcimento che dura una vita

(...) il caso in questione sembra contrapporre due distinti diritti: quello alla libertà di critica e alla piena espressione del pensiero e quello, proprio di ogni singolo cittadino, a veder tutelato il proprio onore e a non essere ingiuriato e calunniato. E, tuttavia, questi diritti sono ben lontani dall’essere opposti; sono semmai complementari e si incontrano lungo un medesimo confine, delicato e incerto (...)

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[13/08/03] E Claudio Riolo? E se poi, a pagare, fosse solo (o quasi) Claudio Riolo? Premessa: questa è una rubrichina che, se fosse accusata di “iper-garantismo”, non se ne adonterebbe più di tanto. In un sistema sociale e giuridico dove le prerogative individuali e le garanzie della persona vengono costantemente subordinate ad altre priorità (periodiche “emergenze”, urgenza di “lottare contro” questo o quel “nemico”, impossibilità di essere “troppo schizzinosi” quando in ballo c’è “ben altro”…), porre l’accento sugli irriducibili diritti del singolo può risultare impopolare. Ma necessario: in primo luogo, moralmente necessario. Per questa ragione, in occasione di procedimenti penali, anche di quelli contro la criminalità organizzata, mi è capitato di avere qualcosa da ridire, e critiche da fare, nei confronti degli inquirenti. Ma la tutela rigorosa della presunzione di innocenza, l’esigenza assoluta di perseguire solo fatti penalmente rilevanti e non la “cattiva fama” o le “pessime frequentazioni”, la capacita di distinguere il giudizio morale e politico dall’accertamento giudiziario: tutto questo non significa in alcun modo limitare il diritto di critica e censurare la sacrosanta asprezza della lotta politica e della polemica pubblica. Quindi, fin dal primo momento, sono stato dalla parte di Claudio Riolo. Che sta già pagando, e salato, per un articolo pubblicato su “Narcomafie”, nel lontano 1994. In seguito a quell’articolo, Riolo fu citato in giudizio dall’allora presidente della Provincia di Palermo, Francesco Musotto, che chiese un risarcimento di 700 milioni, ritenendosi gravemente diffamato. Lo stesso pezzo fu allora ripubblicato sul “Manifesto” (3 maggio 1995), questa volta a firma di ventisette esponenti della cultura e della politica, che fecero proprio l’articolo di Riolo per testimoniare il loro dissenso verso quel procedimento. Questa disponibilità ad esporsi in prima persona per difendere il diritto alla critica, fu ignorata dall’esponente siciliano di Forza Italia, che portò avanti la sua azione giudiziaria contro il solo Riolo. Così, quest’ultimo, due anni fa, è stato condannato a risarcire Musotto (nel frattempo rieletto alla presidenza della provincia) per 140 milioni. Una condanna onerosa, che - stanti le ridotte risorse economiche e la necessità di diluire il risarcimento negli anni – è stata definita, dallo stesso Riolo, “a vita”. Si dovrebbe a questo punto entrare nel merito dell’articolo incriminato; perché il caso in questione sembra contrapporre due distinti diritti: quello alla libertà di critica e alla piena espressione del pensiero e quello, proprio di ogni singolo cittadino, a veder tutelato il proprio onore e a non essere ingiuriato e calunniato. E, tuttavia, questi diritti sono ben lontani dall’essere opposti; sono semmai complementari e si incontrano lungo un medesimo confine, delicato e incerto: quello che corre tra la fondamentale garanzia individuale alla libertà di espressione e la fondamentale garanzia individuale alla tutela del proprio “buon nome”. Ma questa tensione tra due beni entrambi degni di protezione, in politica e nella lotta politica, richiede regole diverse da quelle giudiziarie. E, invece, Francesco Musotto ha fatto ricorso proprio a queste ultime – a partire da una condizione di obiettivo vantaggio politico e istituzionale – nei confronti di una voce non conformista e di uno scrittore indipendente. Il presidente della provincia di Palermo e la Casa delle Libertà hanno vinto, ma – certo - dopo quella “vittoria” c’è un po’ meno libertà, a Palermo e in Sicilia.


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