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Francesca, o della ibertà di scelta

Nel gennaio scorso, una donna chiamata “Maria” (per proteggerne la vera identità), rifiutò l’amputazione di un piede, benché informata sui rischi che il mancato intervento avrebbe comportato per la sua vita. Morì di lì a poco, l’11 febbraio, assistita dai suoi familiari.

articolo - italia - - - L'Unità - Andrea Boraschi, Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[18/06/04] Nel gennaio scorso, una donna chiamata “Maria” (per proteggerne la vera identità), rifiutò l’amputazione di un piede, benché informata sui rischi che il mancato intervento avrebbe comportato per la sua vita. Morì di lì a poco, l’11 febbraio, assistita dai suoi familiari. Di fronte al suo rifiuto, i medici si rivolsero alla magistratura e al sindaco di Milano, nel tentativo di dimostrare l’incapacità di intendere e di volere della paziente: e per ottenere, conseguentemente, un Tso (trattamento sanitario obbligatorio), che – contro la sua stessa volontà – ne salvasse la vita. Ma “Maria” era lucida e consapevole della sua scelta; la perizia dimostrò la sua piena capacità psichica; e, nonostante le molte pressioni, i tentativi di dissuasione e l’imponente campagna mediatica, “Maria” mantenne la sua decisione, fino alla fine. “Francesca” è una donna di trentasei anni, che ha dovuto affrontare un dilemma e un trauma simili, nella sostanza, a quelli di “Maria”. È ricoverata nel policlinico di Tor Vergata, a Roma, ed è malata di omocistinuria, una patologia rarissima che provoca gravi disfunzioni vascolari. Gli arti vanno in cancrena e, a tutt’oggi, non c’è altra soluzione oltre l’amputazione. “Francesca” ha già perso una gamba: ora dovrebbe farsi amputare la seconda, con il pericolo (assai alto) di subire, tra qualche tempo, le stesse mutilazioni alle braccia. La sola alternativa al lasciarsi morire sembra essere, oggi, una vita fatta di sofferenze indicibili e di gravissime menomazioni. I toni della discussione pubblica intorno alla sua vicenda non sono quelli di cinque mesi fa; e i mass media se ne occupano con molta meno enfasi (e molto meno “colore”). La storia di “Francesca” è diventata di dominio pubblico in virtù di elementi di dettaglio, che hanno reso possibile una narrazione diversa e, per molti aspetti, “nuova”. Se Paolo Maldini non le avesse scritto una lettera per farla desistere dalla sua decisione, se Claudio Baglioni non le avesse fatto visita e se, infine, Alex Zanardi (l’ex pilota di formula 1, che ha perso entrambe le gambe) non si fosse adoperato, con successo, per indurla ad accettare l’intervento chirurgico, forse di “Francesca” e della sua “scelta tragica” oggi sapremmo poco o nulla. Perché nessuno – a quanto ci risulta – ha messo in discussione la legittimità della scelta di “Francesca”, qualunque fosse, ma nemmeno ha voluto ragionare sulle implicazioni della sua decisione: tanto meno sulle conseguenze che, quella decisione, fatalmente comporta sul piano dell’etica pubblica. E questo suggerisce una duplice riflessione. Abbiamo, da un lato, il relativo disinteresse dei media, forse motivato dal fatto che il dramma di “Francesca” non è più inedito, benché tuttora capace di interpellare l’attenzione e la coscienza dei cittadini. E, d’altro canto, non si realizza una “polarizzazione” delle (pochissime) posizioni espresse sulla questione. Nessun “coro” per il no (se non qualche generico e ovvio auspicio di ripensamento); e, di conseguenza, nessun “fronte” per la difesa della libertà di scelta. Non si sviluppa, pertanto, una discussione pubblica, capace di “spaccare” in due l’opinione dei cittadini. In altre parole, si ha l’impressione che su simili dilemmi, oggi, vi sia poco da dire: come se, dopo quanto accaduto cinque mesi fa e in altre circostanze simili, risultasse indiscutibile il diritto di una persona alla piena sovranità sul proprio corpo. E, dunque, alla scelta di lasciarsi morire, se vivere vuol dire soffrire oltre ogni tollerabile misura e veder decadere la propria dignità. Come se la coscienza collettiva avesse compreso, infine, che l’ “accanimento alla vita” e la pressione che l’ambiente familiare e sociale possono esercitare su qualcuno per indurlo a “resistere”, trovassero un limite nel diritto incoercibile all’autonomia individuale. Non c’è dubbio che la legge - dall’articolo 32 della Costituzione alle convenzioni europee, sino alla giurisprudenza italiana – tutela la libertà di scelta di “Francesca”. Oggi – ecco la novità - quella libertà è guardata con maggior rispetto dalla stessa coscienza collettiva (e da un’informazione meno approssimativa). È vero, in altre parole, che “la morte e la vita hanno uguali diritti: l’una non può stare senza l’altra” (A.S. Dalsème); ma é vero, altresì, che “la lunga abitudine del vivere non ci allena a morire” (Francis Bacon); e nemmeno ci aiuta, più modestamente, a comprendere la morte o la scelta della morte. Che ci sia, almeno, la possibilità - parziale, imperfetta, faticosissima... – di considerare e affrontare quella scelta. Sabato 12 giugno, “Francesca” ha deciso, infine, di sottoporsi all’intervento chirurgico.


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