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Il sole di Rebibbia

articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[29/11/02]

Ma dove siamo? Nella ridente e fortunata città di Friburgo? Beh, non proprio. Siamo all’estrema periferia est di Roma, in via Raffaele Majetti, e quelli là, sui tetti, sono proprio pannelli solari, che garantiscono calore termico a una parte dei detenuti e del personale del carcere di Rebibbia. E, allora, viene da chiedersi: com’è possibile godere di un simile “lusso” in un luogo dove, pure, manca tutto (spazio e assistenza sanitaria, riservatezza e affetto, autonomia e movimento, cessi e materassi)? In una comunità chiusa, com’è il carcere, dove dominano scarsità e penuria, si possono fare scelte e coltivare consumi che sembrano richiamare l’abbondanza? A ben vedere, l’interrogativo ha un suo significato filosofico: evoca una riflessione di antica tradizione su ciò che è il necessario e il superfluo, sulla nozione di indispensabile, sulla “qualità” dei beni materiali e il “peso” di quelli immateriali. E tuttavia, assai più semplicemente, il discorso può limitarsi a un dato di realtà: nel carcere di Rebibbia ha iniziato a funzionare quello che è destinato a diventare il più grande impianto solare termico del territorio nazionale.
Già nel penitenziario dell’isola di Gorgona, tra il 1996 e il 1998, era stato installato un impianto solare; ma questa di Rebibbia è un’iniziativa di carattere più ampio, voluta dal Ministero dell’ambiente, quand’era diretto da Edo Ronchi, e che prevede lo sviluppo di 15.000 metri quadri di pannelli solari entro il 2005, per produrre acqua calda per usi sanitari. A Rebibbia, si è conclusa la prima parte del progetto: dopo un corso di formazione teorico-pratica, durato 600 ore, il gruppo che ha terminato il programma (10 detenuti) ha costruito 66 pannelli solari pronti per l’installazione e ha montato 96 pannelli di produzione industriale sull’edificio G11. Il primo impianto, per 250 metri quadri, assicura già il fabbisogno di acqua calda per 400 detenuti; il secondo impianto, altrettanto grande, è stato progettato e dovrebbe essere installato nel corso del prossimo anno. Analoghi progetti, secondo i programmi, dovrebbero essere realizzati in un’altra decina di istituti penitenziari; ma, al presente, non si dispone di notizie certe e, soprattutto, di previsioni attendibili sui tempi. Resta questa piccola, ma preziosa notizia. Non è, certo, la riforma dell’istituzione penuitenziaria né la conquista, infine, di un dignitoso standard di civiltà e di dignità. Ma solo chi conosce le carceri (i carcerati, dunque, in primo luogo) sa quanto la vita reclusa sia fatta di dettagli, di piccoli particolari, di pieghe e di risvolti minuti, dove il disporre o non disporre di qualcosa (la doccia o un’attività lavorativa) fa la differenza. E lì, la differenza, la si misura in più o meno privazione: in ultima analisi, in più o meno libertà.


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