Morire di galera
“Il primo dell’anno? E perché no, proprio il primo dell’anno?”, deve aver pensato P.G., 41 anni, quando ha preso la decisione di togliersi la vita, lì, nel cesso di una cella di Regina Coeli, a Roma. In effetti, per gli studiosi di cifre crudeli (come i suicidi e gli atti di autolesionismo all’interno delle carceri), il 1° gennaio può apparire una data-simbolo: una sorta di cupa previsione, se non di tetra anticipazione, di una sequenza che scandirà - pressoché fatalmente - le statistiche sanitarie dei prossimi mesi. Ma per P.G. si trattava, in tutta evidenza, di un giorno come un altro...
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[20/01/04]
“Il primo dell’anno? E perché no, proprio il primo dell’anno?”, deve aver pensato P.G., 41 anni, quando ha preso la decisione di togliersi la vita, lì, nel cesso di una cella di Regina Coeli, a Roma. In effetti, per gli studiosi di cifre crudeli (come i suicidi e gli atti di autolesionismo all’interno delle carceri), il 1° gennaio può apparire una data-simbolo: una sorta di cupa previsione, se non di tetra anticipazione, di una sequenza che scandirà - pressoché fatalmente - le statistiche sanitarie dei prossimi mesi. Ma per P.G. si trattava, in tutta evidenza, di un giorno come un altro: e dunque – come nei dialoghi di un western di serie B – “un giorno buono per morire”. L’ha fatto. Analogamente a tanti altri prima di lui: la testa in un sacchetto di plastica, la bomboletta del fornello a gas aperta.
Decine di persone come lui, prima di lui, si sono tolte la vita nelle carceri italiane, nel corso del 2003 e degli anni precedenti: in genere, tramite impiccagione. In prevalenza giovani, in attesa di giudizio, non pregiudicati o con lievi condanne: e - nella gran parte dei casi – appena giunti in carcere. Quasi tutti senza la prospettiva di doverci restare a lungo. La biografia di P.G. si discosta di poco da questa figura-tipo: avrebbe finito di scontare la sua pena tra qualche mese, anche se l’attendevano altri procedimenti giudiziari. In ogni caso, la sua vicenda sembra confermare una antica legge del carcere e della “malattia del carcere”. In galera non ci si ammazza perché si è disperati: in galera ci si ammazza perché si è in galera.
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