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L'altro volto del lifting

Basta con le menate. Bisogna finalmente parlare di lifting e dire a voce alta: sia benedetta la chirurgia estetica! L’ha già affermato qualcuno? Forse mi sono distratto e non me ne sono accorto. In ogni caso: avere un bell’aspetto è o non è un vantaggio sociale? Un sorriso ampio e luminoso non aiuta, forse, nelle relazioni? Una faccia gradevole facilita, o meno, la piena integrazione in una qualsiasi comunità umana e assicura, o meno, un maggiore benessere? Al di là di ipocrisie e moralismi, è difficile non rispondere positivamente a queste domande. Capisco pure che, sulla questione, possa esservi un qualche pregiudizio tra i lettori dell’Unità: ma ciò accade solo perché il pensiero, fatalmente, corre a Quello Lì. E, invece, a quello lì – al Grande Fatto e Rifatto – non ci penso proprio.

articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[01/03/04] Basta con le menate. Bisogna finalmente parlare di lifting e dire a voce alta: sia benedetta la chirurgia estetica! L’ha già affermato qualcuno? Forse mi sono distratto e non me ne sono accorto. In ogni caso: avere un bell’aspetto è o non è un vantaggio sociale? Un sorriso ampio e luminoso non aiuta, forse, nelle relazioni? Una faccia gradevole facilita, o meno, la piena integrazione in una qualsiasi comunità umana e assicura, o meno, un maggiore benessere? Al di là di ipocrisie e moralismi, è difficile non rispondere positivamente a queste domande. Capisco pure che, sulla questione, possa esservi un qualche pregiudizio tra i lettori dell’Unità: ma ciò accade solo perché il pensiero, fatalmente, corre a Quello Lì. E, invece, a quello lì – al Grande Fatto e Rifatto – non ci penso proprio. Mi riferisco, invece, alla faccia di Lele Oriali “tagliata” dai tacchetti di Mauro Tassotti e “ricucita” superbamente da un abile chirurgo. E mi riferisco, soprattutto, a quelle giovani donne del Bangladesh "acidificate" per vendetta: magari per aver rifiutato un pretendente non gradito; per cancellare una simile “offesa”, accade di frequente che venga cancellato, con l’acido, il volto di chi ha osato tanto. In alcuni casi, per l’impossibilità di praticare terapie tempestive e adeguate, quelle donne sono destinate a morire, tra dolori indicibili; in altri casi, sopravvivono. Smile Again – come racconta “Vita”, un settimanale prezioso, la cui lettura si raccomanda - è un’associazione di chirurghi italiani che opera per ricostruire i volti sfigurati e per limitare o risolvere le disfunzioni funzionali sopraggiunte. E, così, la chirurgia plastica ritrova la sua ragione originaria e il suo fondamento scientifico e deontologico. Smile Again fa giungere nel nostro paese le donne sfigurate di cui si prende cura, assistendole e offrendo loro una formazione sanitaria, che possa reinserirle nella società di provenienza e metterle in grado di aiutare altre donne; e opera in Bangladesh (e presto anche in Pakistan) per preparare personale e attrezzare strutture sanitarie funzionali a quelle terapie. In Bangladesh opera anche Interplast, la prima organizzazione italiana di volontariato che si occupa di chirurgia plastica: interviene sulle gravi malformazioni congenite (come il labbro leporino e la palatoschisi), che portano molti uomini e donne a vivere in condizioni di isolamento ed emarginazione. Ha già portato a termine 28 missioni (in Africa, America Latina e Asia), operando in sedici paesi e intervenendo su più di duemilacinquecento pazienti. E, ancora, Progetto Sorriso raccoglie un gruppo di chirurghi maxillo-facciali e plastici che opera a Khulna, in Bangladesh, dedicandosi ai bambini nati con gravi malformazioni al viso: per riconsegnarli, una volta operati, a quelle famiglie e a quei villaggi che li avevano allontanati. E la stessa missione è la ragione di vita di Operation Smile Italia, attiva in Europa, Asia ed Africa. Come si vede, una piccola ma robusta rete di operatori sanitari, al lavoro da anni e completamente sconosciuta all’opinione pubblica italiana. Che, forse, ricorda – grazie al bel film di David Lynch – la storia di Elephant Man: la parabola disperata, eppure dignitosissima, di John Merrick, afflitto, nella Londra di fine ‘800, da una forma rarissima di neurofibromatosi. Esibito nei circhi come fenomeno da baraccone, dopo una vita miserevole, viene salvato dal dottor Frederick Treves, che ne rivela sensibilità, intelligenza e doti artistiche, fino a fare di lui un personaggio apprezzato dalla società colta dell’epoca. Dello stesso caso, e di molti altri, scrisse Leslie Fiedler in “Freaks”: una sorta di storia sociale e psicanalitica del trauma che interviene nella vita di chi si sente irrimediabilmente non rappresentato dal proprio aspetto. Vicende di nani, giganti, fratelli siamesi, donne barbute; biografie di uomini e donne esibiti, per secoli, nelle fiere di paese e nelle corti come attrazioni, scherzi della natura, anomalie mostruose. Riscattabili solo se dotati, come Elephant Man, di eccezionali risorse intellettuali. Ora, c’è una ulteriore opportunità, offerta dalla forza delle relazioni umane e sociali e dal Bisturi Ben Temperato. E non sto pensando a Quello Lì (e neppure a Quella Lì: Sant’Irene del Fetish).


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