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L'incredibile caso del signor Vadim Fursov
Esiste, in una certa cultura politica e in una certa psicologia sociale, un riflesso condizionato, a volte una vera ossessione, verso la figura del “mandante”: colui che sta a monte del reato, colui che lo vuole e lo progetta, ma che ne affida la realizzazione a uno o più esecutori. Cercare di comprendere quali possano essere le ragioni storiche, politiche, persino antropologiche di un tale tic risulterebbe, qui, fuori luogo. Certo è che si tratta di un atteggiamento comprensibile e, in alcune circostanze, condivisibile. Non è questo il caso, certo, della vicenda giudiziaria di Vadim Fursov: essa ruota, piuttosto, intorno a una nozione opaca, illogica e surreale di “mandante”.
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[12/12/03] Esiste, in una certa cultura politica e in una certa psicologia sociale, un riflesso condizionato, a volte una vera ossessione, verso la figura del “mandante”: colui che sta a monte del reato, colui che lo vuole e lo progetta, ma che ne affida la realizzazione a uno o più esecutori. Cercare di comprendere quali possano essere le ragioni storiche, politiche, persino antropologiche di un tale tic risulterebbe, qui, fuori luogo. Certo è che si tratta di un atteggiamento comprensibile e, in alcune circostanze, condivisibile. Non è questo il caso, certo, della vicenda giudiziaria di Vadim Fursov: essa ruota, piuttosto, intorno a una nozione opaca, illogica e surreale di “mandante”.
La sua storia è così riassumibile: Fursov viene condannato quale mandante di un omicidio; il processo che lo condanna indica l’esecutore del reato, che tuttavia viene assolto, successivamente, in Corte d’Assise d’Appello: con una revisione del giudizio che non solo respinge ogni tesi accusatoria nei suoi confronti, ma che – ecco il punto – smonta l’intera dinamica del crimine. Quella stessa dinamica in base alla quale è stato condannato Fursov. Che si ritrova ad essere il mandante di nessuno: il crimine resta quello, accertato e indagato, ma la ricostruzione probatoria che ne individuava i rei e i moventi crolla. Ciononostante, Fursov è oggi recluso a Rebibbia, e sta scontando una condanna a 27 anni di carcere, per essere il “mandante” di un “esecutore” che non ha commesso il fatto; e per essere l’ideatore di un piano criminale inesistente.
Ma non è tutto. Vadim Fursov, infatti, è stato giudicato colpevole senza aver mai preso parte a un processo. Il 7 marzo del 1990, Fursov subisce una perquisizione nell'appartamento della fidanzata, durante la quale i carabinieri sequestrano numerosi oggetti. Quello stesso giorno, Fursov e la sua fidanzata vengono interrogati in merito all'omicidio di G.P., per il quale gli inquirenti sospettano di Alexander Egorov (l’allora presunto esecutore), amico della coppia. Per quarantotto ore, Fursov è trattenuto presso il carcere di Regina Coeli, senza la possibilità di contattare un difensore o l'ambasciata americana (è cittadino statunitense); e la donna è rinchiusa presso il carcere di Rebibbia. Verranno scagionati dopo due giorni, senza ricevere spiegazioni e senza ottenere il dissequestro degli oggetti loro confiscati. Passano 8 anni, durante i quali i due, divenuti nel frattempo marito e moglie e trasferitisi negli Stati Uniti, tentano inutilmente di rientrare in possesso dei beni sequestrati nella perquisizione. Lungo tutto quel periodo, nessuna comunicazione da parte della magistratura e delle forze dell’ordine italiane: fino a quando, nel 1998, Vadim Fursov viene arrestato nella sua abitazione di Miami ed estradato in Italia; apprende, così, che il Tribunale di Roma, a conclusione di un processo celebrato in contumacia, lo ha condannato a una pena di 27 anni per l'omicidio di G.P.. E che quella sentenza di primo grado, essendo scaduti i termini per la presentazione della richiesta d'appello, è definitiva.
Ora Vadim Fursov, afflitto da gravi patologie, ha fatto ricorso in Cassazione, e attende giustizia in una cella di Rebibbia (nonostante una perizia medica che lo giudica incompatibile con il regime carcerario).
Bene, questa è – evidentemente – una versione “di parte”. Aspetto contestazioni e rettifiche, precisazioni e puntualizzazioni. Ma se la sostanza fosse vera, e io so essere vera, sommessamente chiedo: ma vi sembra normale?
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