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Diamo a Rida quel ch'è di Rida
E, così, Rida Ben Mohammed è stato messo su una nave e rispedito al suo paese. La ragione è semplice: è quanto prevede la legge italiana per chi è privo di permesso di soggiorno; e anche per chi, come nel suo caso, lavorava onestamente nel nostro paese, senza però essere stato regolarizzato da un imprenditore inadempiente.
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[16/02/04] E, così, Rida Ben Mohammed è stato messo su una nave e rispedito al suo paese. La ragione è semplice: è quanto prevede la legge italiana per chi è privo di permesso di soggiorno; e anche per chi, come nel suo caso, lavorava onestamente nel nostro paese, senza però essere stato regolarizzato da un imprenditore inadempiente. La storia di Rida è notevolmente tormentata. Tralasciando i dettagli, basti ricordare che, fermato perché sprovvisto del permesso di soggiorno, aveva tentato la fuga al momento dell’espulsione. A seguito di una colluttazione con un agente, Rida ha riportato gravi lesioni e fratture. Nel carcere di Civitavecchia, dov’è condotto in seguito all’arresto per tentata fuga e resistenza a pubblico ufficiale, è dichiarato incompatibile col regime carcerario e, quindi, ricoverato all’ospedale di Ostia. Da lì, dopo un periodo di cure, viene trattenuto al Centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria, fino al momento della sua espulsione, avvenuta pochi giorni or sono.
Su questa vicenda l’Unità ha scritto un articolo, contestato - nella sostanza e nei dettagli - dal Prefetto di Roma. Non è nostra intenzione aprire un contraddittorio con Achille Serra: e, tuttavia – va detto – la vicenda offre molti spunti che un duello di affermazioni e smentite finirebbe con l’oscurare. Tutto, infatti, ruota intorno a fondamentali questioni di diritto. E due punti, in particolare, ci preme riprendere e portare all’attenzione.
Dalla cartella clinica risulta che a Rida erano state prescritte in più occasioni, e da più medici, TAC e risonanza magnetica alla colonna lombare per appurare lo stato di una compressione della cauda, prodottasi in seguito alla frattura ossea del canale midollare. In altre parole, Rida ha riportato un distacco di un frammento osseo che potrebbe andare a incidere sulla così detta “dura madre”; qualora una lesione del genere si verificasse, il soggetto potrebbe incorrere in parestesie diffuse e, nei casi più gravi, riportare serie complicazioni neurologiche, fino a paralisi parziali o estese. Dalla medesima cartella clinica risulta che a Rida, questi esami, non sono stati mai fatti. Eppure, il comma 3 dell’art. 35 del Testo unico sull’immigrazione, confermato anche dalla recente “Bossi-Fini”, prevede che agli immigrati trovati sprovvisti di permesso di soggiorno siano garantite “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti, o comunque essenziali, per malattia e infortunio”. Ripetiamo: ci risulta che a Rida non sia stata praticata alcuna Tac o risonanza magnetica. Aspettiamo, su questo punto, smentite convincenti. In assenza di queste, confermiamo che è stata rimpatriata una persona che potrebbe, presto o tardi, incorrere in gravi patologie per danni riportati nel suo soggiorno in Italia; e che potrebbe non essere in condizione di curarsi adeguatamente, rischiando parestesie o infermità più serie.
D’altra parte, la legge ha permesso al Prefetto di Roma di espellere Rida: ma questo, se può considerarsi sufficiente sotto il profilo della legalità degli atti, non esaurisce la questione. Perché, infatti, Rida dovrebbe comparire in aula il 16 aprile prossimo, imputato e al contempo parte lesa, nel processo in cui si giudicherà il suo tentativo di fuga e si appureranno dinamica e responsabilità dell’incidente occorso a lui ed all’agente che lo rincorse. Come potrà Rida, e con lui gli altri che si trovano nella sua condizione, accedere al “giusto processo” appena introdotto in Costituzione? Quale parità è immaginabile, se uno dei soggetti del procedimento si trova in un altro paese e, dunque - per povertà di risorse e di facoltà – in una condizione palesemente dispari?
Non solo. La vicenda di Rida si svolge contemporaneamente alla pubblicazione di un rapporto di Medici senza Frontiere, dove si documenta come la situazione dei CPT sia, a dir poco, scandalosa. Va ricordato, qui, che i CPT non sono stati istituiti dall’”infame governo Berlusconi”, ma da una legge che porta il nome di due persone per bene, scrupolosamente attente ai diritti e alle garanzie: Livia Turco e Giorgio Napoletano; e in conformità con il primo comma dell'art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede, tra i casi tassativi in cui un soggetto può essere privato della libertà personale, "l'arresto o la detenzione legali di una persona per impedirle di penetrare irregolarmente nel territorio, o di una persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione". Molto giuristi obiettano che i CPT rappresentino un’aperta violazione di alcuni diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione (diritto alla libertà personale, art.13; alla difesa, art.24; all’asilo, art.10); ma, ancor più, esiste una situazione di fatto, ampiamente documentata, che parla di soprusi, inadempienze, ritardi amministrativi, incapacità gestionali. Non è arrivato, forse, il momento di ripensarci? E, magari, di riconoscere un errore e di rimettere in discussione l’esistenza stessa dei Centri di Permanenza Temporanea?
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