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Medicina, medici e ciarlatani

«Sono molte le persone serie, ma sono troppi i ciarlatani». La vede così Cinzia Caporale, membro del Comitato nazionale per la bioetica, a proposito della questione delle medicine non convenzionali e della mozione votata all'unanimità dallo stesso Comitato, un mese fa. In essa viene bocciata qualsiasi apertura, di carattere normativo, nei confronti delle pratiche terapeutiche alternative alla medicina tradizionale.

articolo - italia - - - L'Unità - Andrea Boraschi, Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra

[28/06/04] «Sono molte le persone serie, ma sono troppi i ciarlatani». La vede così Cinzia Caporale, membro del Comitato nazionale per la bioetica, a proposito della questione delle medicine non convenzionali e della mozione votata all'unanimità dallo stesso Comitato, un mese fa. In essa viene bocciata qualsiasi apertura, di carattere normativo, nei confronti delle pratiche terapeutiche alternative alla medicina tradizionale. Lo spunto per il testo del Comitato viene da un disegno di legge in discussione alla commissione Affari sociali della Camera, che intende, per la prima volta, dare sistemazione organica e riconoscimento giuridico a una serie di terapie (agopuntura, fitoterapia, omeopatia, motossicologia, medicina antroposofica, farmacoterapia tradizionale cinese, farmacoterapia ayurvedica e medicina manuale), rimaste ai margini, finora, della medicina istituzionale. Per alcuni versi, Cinzia Caporale ha ragione: esistono terapeuti seri, come esistono bolsi fricchettoni e stregoni in carriera (e in tivù), schizzati cultori di filosofie olistiche e sciamani di quartiere, muniti di piramidi, cristalli ed essenze “miracolose”. Medici e ciarlatani. Proprio come - ahinoi - nella medicina allopatica e tradizionale; e come in tutti gli altri ambiti dell'agire e del sapere umano. Qui si vuole ammettere, in via ipotetica, persino qualcosa di più: ovvero che nella medicina ufficiale il rapporto tra seri professionisti e pericolosi incompetenti sia, ad oggi, relativamente più rassicurante di quello rilevabile nella medicina “alternativa”. Il perché è presto detto: mancano corsi di formazione universitari in medicine e pratiche non convenzionali: come pure non esistono le relative materie di insegnamento nei corsi di laurea in medicina, odontoiatria, farmacia, veterinaria, scienze biologiche e chimica; inoltre, le società e le associazioni di riferimento delle professioni sanitarie non convenzionali non possono essere, ad oggi, riconosciute come organismi scientifici; e non vi sono rappresentanti di queste pratiche nel Consiglio Superiore della Sanità. La medicina “alternativa”, in altre parole, manca in Italia di rappresentanza istituzionale: e, di conseguenza, non dispone di adeguati strumenti per la ricerca scientifica, la formazione, l'aggiornamento e la qualificazione professionale. Tutte cose che servirebbero, giustappunto, a discernere tra medici e ciarlatani. Tutte cose alle quali il Comitato nazionale di bioetica, finora, si è opposto fermamente. “La motivazione alla base del testo - ci spiega ancora Cinzia Caporale - è che secondo il Cnb tali pratiche non sono validate da metodologia scientifica”. In altre parole, quelle pratiche - per ricorrere a Popper - non sarebbero falsificabili. Ci troveremmo davanti, dunque, ad approcci terapeutici che, per loro natura, non sopportano il vaglio - diciamo così - del metodo cartesiano. Non sarebbero scienza: al più ideologia, se non magia. La questione, come si dice, è complessa: ma, proprio per questa ragione, non si possono ignorare due ordini di problemi. Da un lato, il fatto che nel nostro paese operano molti medici che, pur formatisi nella medicina convenzionale, adottano da tempo, a integrazione o a parziale sostituzione di essa, terapie “altre”, di varia origine, impostazione ed efficacia; e operano molti medici di formazione interamente alternativa. Entrambi i gruppi di professionisti incontrano grandissime difficoltà: ma a essi, ogni anno, si rivolgono - ecco l'altro lato della questione - nove milioni di italiani. Che vorrebbero poter contare su una certificazione della competenza e della preparazione di chi presta loro cura; e che invece, spinti spesso dal fallimento (vero o presunto) delle cure convenzionali, si muovono in una condizione di incertezza e di approssimazione. Una legge in materia potrebbe garantire molti pazienti, e aiutarli nella loro scelta terapeutica. Ci sono interessanti evidenze scientifiche che accreditano molte terapie non convenzionali e riconoscono i loro effetti positivi per determinate patologie. Un buon esempio ci viene dalla ricerca condotta nel 2001 da un gruppo di studiosi del San Raffaele, dell'Università Bicocca e del CNR di Milano: in essa viene dimostrata la validità scientifica dell'effetto analgesico dell'agopuntura. Ed è solo un piccolissimo esempio. Di evidenze come questa è ricca la letteratura scientifica, e il Comitato nazionale per la bioetica e il Parlamento dovrebbero occuparsene con maggiore attenzione. Intanto, c'è stato un primo segnale positivo: lo stesso Comitato, che non più di un mese fa ha prodotto la mozione di cui si è detto, ha ricevuto in audizione il Comitato permanente di consenso e coordinamento per le medicine non convenzionali. Si è aperto un confronto, sin qui difficile e, per lo più, accuratamente evitato: staremo a vedere. Sullo sfondo c'è un enorme problema, che lo stesso Comitato nazionale per la bioetica dovrà affrontare, ci auguriamo, con spirito libero e razionale. Stiamo parlando di discipline e terapie il cui statuto scientifico è diverso da quello tradizionale. Nessuno intende sostituire un approccio scientifico totalizzante a un altro. Si vuole, piuttosto, affermare la possibilità di considerare altri statuti scientifici, che prevedono diversi protocolli e diversi criteri di validazione: affinché differenti paradigmi medici siano messi nelle condizioni di misurarsi con l'esperienza terapeutica e le metodiche scientifiche. Insomma, perché dovremmo avere paura di più libertà?


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