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L'intolleranza è una strategia fallimentare
articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - A buon diritto - Promemoria per la sinistra
[10/01/03] In tema di prostituzione, le posizioni, in apparenza così divergenti, dei ministri Umberto Bossi e Stefania Prestigiacomo finiscono col coincidere: accomunate, come sono, dalla medesima ispirazione autoritaria.
Il ruvido iper-realismo del ministro delle Riforme istituzionali (“tanto si arriverà agli eros center”) e la vereconda ritrosìa di quello delle Pari opportunità (“spero che Bossi abbia torto”) discendono da una concezione condivisa, dove non c’è spazio per l’autonomia individuale e l’autodeterminazione del singolo. Bossi si affida a uno Stato-mezzano, a una amministrazione pubblica fattasi maîtresse di bordello, per “ripulire le strade” e impedire che “i figli di Berlusconi” si scandalizzino. La Prestigiacomo riduce la prostituzione a un problema di “arredo urbano” e ritiene che per “liberarle”, quelle strade, sia sufficiente comminare multe a clienti e prostitute e prevedere il carcere per i recidivi (o meglio: per le recidive, le prostitute; e già questo la dice lunga). Entrambi i ministri esprimono una cultura intollerante e propongono una strategia fallimentare. E’ intollerante, infatti, ogni norma che neghi il fondamentale principio liberale della “sovranità dell’individuo su se stesso” (John Stuart Mill, 1858). Di tale sovranità fa parte, che ci piaccia o no, la disponibilità del proprio corpo per vendere o acquistare sesso. Tale prerogativa dell’individuo adulto, fino a che è esercitata in condizioni di libertà (anche se, lo sappiamo bene, un elemento di coercizione è quasi sempre presente), non può essere interdetta o sanzionata.
La nuova legge sulla prostituzione va in tutt’altra direzione: per un verso, nega l’autonomia individuale – di chi vende una prestazione e di chi l’acquista – e, per l’altro, introduce uno strappo illiberale nel nostro ordinamento. Il presupposto sembra essere che “la prostituzione è male” e, dunque, va bandita dal consorzio civile. Dal momento che non può essere abolita, essa va occultata. Per chi la rende “pubblica” (ovvero la pratica in luoghi pubblici), intervengono le sanzioni. Ma la trascrizione in norma di un precetto morale rivela una disastrosa confusione – premoderna e illiberale – tra etica e diritto: la legge penale non ha lo scopo di sanzionare il bene e il male, bensì solo ed esclusivamente quello di prevenire comportamenti dannosi per i terzi, senza produrre, a sua volta, effetti ancora più nocivi di quelli che è idonea a impedire. Insomma, l’esclusiva funzione della pena è quella di tutelare i cittadini contro le violenze altrui: non a caso, lo stesso codice Rocco puniva non la prostituzione, ma l’adescamento e lo sfruttamento.
Questo significa lasciare le cose come stanno o sottovalutare il fatto che esiste, comunque, lo “scandalo pubblico” della prostituzione per le strade? Assolutamente no. Anche perché – fatalmente – quello “scandalo” pesa in modo particolare sulle zone urbane più degradate e sui residenti più deboli.
Dunque, è necessario intervenire, ma tenendo ben presente che la prostituzione attuale non ha nulla in comune con il meretricio di cinquant’anni fa: la diversificazione della domanda e dell’offerta di sesso hanno reso la prostituzione un mercato assai ricco, protetto, intrecciato ad altri comparti criminali. Non “contenibile” all’interno di nuove “case chiuse”. Questa soluzione potrebbe riguardare solo una quota assai ridotta, che già ora esercita in condizioni meno esposte e pericolose e già ora suscita minore allarme sociale. Il risultato rischia di essere un’ulteriore segmentazione dell’universo della prostituzione e il peggioramento delle condizioni di chi è meno tutelata, più ricattabile e fatalmente destinata alla clandestinità.
E, invece, si può operare in maniera esattamente opposta e procedere alla sperimentazione di “zone protette”, dove sia possibile garantire una maggiore sicurezza, ma di tutti: non va dimenticato, infatti, che è assai elevato il numero di prostitute aggredite, seviziate, uccise. All'interno di tali «zone» e in luoghi adiacenti potranno essere aperti sportelli di informazione e di assistenza sociale e sanitaria; e ciò potrebbe ridurre il rischio che l'istituzione di quelle «zone» corrisponda alla creazione di altrettanti ghetti. Per intenderci: non vanno resi “più a luci rosse” i quartieri che, già oggi, sono largamente occupati dal mercato del sesso. Al contrario: a quel mercato vanno destinate zone non residenziali, dove possano aprirsi alberghi e cinema, bar e videoteche, farmacie e presidi sanitari. La delimitazione e la maggiore controllabilità del territorio - più una rete di servizi e di operatori - può consentire non solo una maggiore tutela dell’incolumità e della salute delle prostitute, ma anche una minore sudditanza ai racket: e, persino, una qualche possibilità di sottrarsi alle organizzazioni criminali e, in prospettiva, di abbandonare l'attività. Tutto ciò potrebbe consentire di concentrare le energie maggiori sui compiti più impegnativi, ma anche più risolutivi: a) una efficace mobilitazione contro le organizzazioni criminali che gestiscono il commercio internazionale della prostituzione; b) una intelligente strategia per incentivare e sostenere la donne che, a quel mercato schiavistico, vogliano sottrarsi. Il resto sono chiacchiere: demagogiche e persino – si pensi ad alcuni dibattiti televisivi - un po’ sporcaccione.
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