Carceri: Sofri, il Papa ha gia' detto tutto
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[14/11/02] (ASCA) - Pisa, 14 nov - Non ridurre la visita di Giovanni Paolo II in Parlamento ''al gioco della soddisfazione o della delusione per quello che dira', il Papa ha gia' detto tutto''. L'invito viene da Adriano Sofri che, in una lunga intervista rilasciata oggi al quotidiano 'Il Tirreno', parla di carceri, della delusione per come le speranze di un indulto in occasione del Giubileo passarono senza lasciare il segno, della condizione carceraria e delle parole del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi nel corso della sua visita al carcere di Spoleto. ''Adesso c'e' l'eventualita' che ripassi un 'treno fuori orario' - spiega Sofri riferendosi alla speranza di un possibile all'indulto, ma spigando che preferisce evitare di parlare della grazia - che, se vogliamo, e' la cosa piu' bella. Lasciarlo passare nuovamente senza esito sarebbe una vergogna''. L'ex leader di Lotta Continua, dopo aver detto che Gianni Vattimo dalle pagine de 'L'Unita', ''scherzava'' spiega che nessuno deve riporre troppe attese nella visita del Papa di oggi, perche' se e' vero che lui ha gia' detto tutto, e' anche vero che ''il Duemila ha mostrato che al Papa tutti si genuflettono fin troppo, ma poi quanto alla sostanza trovano il modo di gabbare il santo passata la festa. Io non penso che il Papa dira' cose troppo esplicite''. Sofri spiega poi che qualche tempo fa, dopo la visita di Ciampi a Spoleto, aveva pensato di scrivere una lettera anche al Capo dello Stato, cosi' come aveva gia' fatto anche al Papa. ''Per la verita' l'avevo scritta, una lettera aperta al Presidente della Repubblica come l'avevo scritta anche al Papa - dice - ma poi sono intervenute queste cose mie personali sulla grazia che avrebbero fatto equivocare. Nella lettera al Papa e in altri articoli ricordavo una specie di malintesa e strampalata divisione del lavoro, divisione dei ruoli in cui i preti e le suore possono usare parole di conforto, visitare i carcerati con gli occhi della carita', dire loro fratello; mentre gli uomini pubblici, le autorita' laiche debbano non solo evitare questo linguaggio fraterno, ma addirittura vergognarsi quasi di mostrare una qualche comprensione o simpatia per il proprio prossimo in catene''
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