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Un girotondo anche a San Vittore

E' giusto manifestare per la legalità Ma la sinistra si batta anche affinché la pena sia scontata in carceri accettabili

articolo - italia - - - La Repubblica - Franco Corleone, Luigi Manconi - Libertà Personale

[19/09/02]

Va bene che un bel gioco dura poco, ma anche interrompere un salto a metà dello slancio può essere pericoloso e, in ogni caso, frustrante. Per questo, a costo di rischiare la ripetitività, anche noi vorremmo proporre un girotondo. Un bel girotondo intorno a San Vittore, a Milano, o al Don Bosco, a Pisa. O - ancora - intorno a quel monumento alla mortificazione dell' umana dignità che è il carcere di Poggioreale, a Napoli. Insomma, si può dire che una prigione vale l' altra - con eccezioni meno numerose delle dita di una mano - e che tutte sono, in qualche modo, simbolo di un orrore, consumato o in corso: motivo sufficiente, ci pare, per un moto di sdegno o per una manifestazione di protesta. E, tuttavia, entrambe le reazioni (moti e manifestazioni) non ci sembrano né frequenti né imponenti. Nemmeno ora, quando in decine e decine di carceri italiane è in corso la pacifica mobilitazione dei detenuti: e la risposta del governo si è manifestata attraverso le inaudite parole del ministro della Giustizia. (E continua, intanto, la riproduzione all' infinito dei suicidi: in prigione ci si toglie la vita diciannove volte più di quanto ci si ammazza fuori). Dunque, scorgiamo una contraddizione tra il chiedere che gli impuniti siano puniti e il non chiedere, con altrettanta determinazione (o, per lo meno, con un pizzico di decisione), che gli innocenti vedano riconosciuta la propria innocenza; e che chi incorre - giustamente - nella giustizia, non ne sia giustiziato: ovvero annichilito, marchiato, sfinito nel corpo e nell' anima. Paghi il dovuto, onori il debito, sconti la pena, quel condannato: ma perché mai dovrebbe patire afflizioni ulteriori e, spesso, disumane (dalla cancellazione della sessualità alla negazione degli affetti all' umiliazione dell' identità)? E perché, ogni giorno che Dio manda in terra, tutto ciò, non lo diciamo e non lo "gridiamo dai tetti"? Chi mai deve dirlo, se noi lo taciamo? Insomma, il rischio è che "i girotondi per la legalità" - il cui ruolo è indubbiamente assai importante, tanto più dopo la grande manifestazione di sabato 14 settembre - finiscano per confermare l' immagine di una sinistra che, dal governo o dall' opposizione, valorizza, della giustizia, la sola dimensione punitiva, afflittiva, segregativa. Certo, tutto ciò sarà inevitabile, in qualche misura, fino a quando il governo finalizzerà la propria politica della giustizia alla tutela esclusiva degli interessi personali del premier e dei suoi soci. E, tuttavia, già accettare che il programma dell' opposizione sia determinato negli obiettivi e scandito nei tempi dalle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi e di Cesare Previti, è una dichiarazione di debolezza. è ovvio che, nelle attuali condizioni, giocare in difesa sia in qualche modo fatale, ma il rischio di esagerare ci sembra palpabile. Basti osservare che i temi prima ricordati (la tutela intransigente delle garanzie individuali, una concezione mite della pena, un' idea non vendicativa e non concentrazionaria della sanzione) non compaiono mai - ma proprio mai - nell' agenda politica e nel discorso pubblico dei dirigenti del centrosinistra, dei movimenti della società civile, dei leader dei girotondi. è ben vero che giustizia e informazione sono due nervi scoperti delle democrazie contemporanee e che tali questioni, in Italia, assumono un carattere assolutamente patologico. Per questo non stupisce troppo che le energie, le risorse e le passioni dei girotondi si concentrino sui luoghi forti del potere (le sedi della Rai e i palazzi di giustizia, in primo luogo); per questo non stupisce troppo che un movimento rivoluzionario, quanto meno sul piano del linguaggio e del repertorio d' azione, si mobiliti a difesa di simboli che, in altri tempi, sarebbero stati additati come altrettante cittadelle da "espugnare". L' anomalia italiana produce tali paradossi: e sono paradossi storicamente e politicamente motivatissimi. D' altronde, un movimento che ha assunto tra i suoi motti - e anche questo è, in qualche misura, inevitabile - il «resistere, resistere, resistere", è portato a connotarsi, prioritariamente, come fattore di conservazione dell' esistente rispetto alla minaccia (assai concreta) del prevalere del peggio. Ma, considerato tutto questo, non riteniamo che la missione "conservatrice" del movimento escluda che esso possa avere anche una funzione innovativa e - questo è il punto - libertaria. E, allora, un movimento che si colloca, non diciamo a sinistra - ché sarebbe riduttivo - ma all' opposizione del centrodestra, deve porsi il problema della giustizia e del diritto anche come grande questione delle garanzie e delle tutele della persona, delle libertà individuali e dei diritti civili, di una società più, e non meno, aperta. In caso contrario, non ci dovremo stupire delle gaffes di quei leader del centrosinistra, che hanno attaccato il governo perché responsabile "della più grande sanatoria di clandestini mai fatta nel paese". Con quelle parole si commettono, a nostro avviso, tre errori rovinosi. Sul piano culturale, si adotta il linguaggio dell' avversario ("clandestini", "sanatoria"...), cedendo sul terreno più scivoloso e friabile, laddove si forma la mentalità collettiva e il senso comune; sul piano morale, si rinuncia a un principio fondante l' identità del centrosinistra e lo stesso programma dell' Ulivo (l' accoglienza intelligente e razionale degli stranieri, la regolarizzazione degli irregolari che lavorano); sul piano politico, si va contro gli interessi (se non contro i sentimenti: ma per una quota di cittadini valgono anche questi ultimi) dei molti italiani alacremente impegnati, in queste ore, a regolarizzare collaboratrici domestiche, badanti, lavoratori dipendenti. Il "cattivismo" demagogico può fare più danni (anche elettorali) dei buoni sentimenti da soap opera.


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