Politicamente correttissimo L'inconsapevole Marco Travaglio e la profonda immoralità dei moralistiLuigi Manconi In questa rubrica si è fatto spesso riferimento a un motto, attribuito niente meno che a Pietro Nenni, che così recita: "il puro più puro che epura l'impuro". Si tratta di una formula linguistica formidabile che scandisce ritmicamente un meccanismo di incolpazione, tradotto in una sorta di procedura compulsiva. L'impurità che porta all'ostracismo si dipana lungo una sequenza di delazione/esclusione, applicata via via e con furia incalzante a giudici successivamente diventati accusati e, per un qualche artificio, nuovamente giudici e ancora accusati, e così via. Ad libitum, si potrebbe dire. Si è descritta, più volte, questa macchina che assedia e assilla, sanziona e stigmatizza.
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Luigi Manconi, Senatore del Pd: numero chiuso contro il sovraffollamento delle carceri
Quattro disegni di legge su questioni di diritto. Portiamoci avanti col lavoro.Vivi come se tu dovessi morire subito. Pensa come se tu non dovessi morire mai. Questo ammonimento, terribile e fascinoso, viene attribuito di volta in volta a Jim Morrison o a Julius Evola: o anche (la Compagnia di Gesù va di moda di questi tempi) ai Gesuiti. In ogni caso, è un buon prontuario per chi voglia agire nel mondo, evitando di farsi paralizzare dalla paura del tempo senza fine o, all'opposto, dall'ansia della caducità. Lo stesso ammonimento vale anche per la domanda: quanto durerà questa legislatura? E si farà un Governo? E quanto sopravviverà? Intanto, diamoci una mossa e portiamoci avanti col lavoro. Per questo ho presentato 4 disegni di legge che affrontano altrettante cruciali questioni di diritto. Tortura. È necessaria la qualificazione della tortura come delitto proprio (tipico, cioè, del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio), da ricomprendere tra i reati contro la libertà morale, in quanto lesivo in primo luogo della dignità. Va configurato come imprescrittibile, aggravato dall’eventuale morte della vittima e modulato sulla definizione (condivisa a livello internazionale) che ne dà la Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. La previsione di tale reato attuerebbe finalmente l’unico “obbligo di tutela penale” stabilito dalla nostra Costituzione e sinora inadempiuto. Disegno di legge introduzione del reato di tortura nel codice penale Unioni civili. Va garantito uno statuto essenziale di diritti, doveri e disciplina giuridica alle forme di convivenza non basate sul vincolo matrimoniale, composte da due persone, anche dello stesso sesso (sul modello della legge tedesca del 2001, per quest’ultima ipotesi). In particolare, vanno estesi alle unioni civili i diritti riconosciuti alla famiglia tradizionale soprattutto nelle materie successoria, sanitaria, penitenziaria, fiscale e previdenziale, sul regime patrimoniale, sullo status giuridico dei figli nati in costanza dell’unione e sul loro affidamento, nonché sull’adozione. In questa sede si potrebbe anche disciplinare il così detto “divorzio breve”, portando da 3 a 1 anno il tempo necessario che deve trascorrere dalla separazione per lo scioglimento del matrimonio. Disegno di legge Disciplina delle unioni civili Relazioni di cura e Testamento biologico. È necessaria una regolamentazione “leggera”, che sancisca il diritto all’autodeterminazione del singolo sulle scelte terapeutiche nella fase finale della vita, quale presidio di garanzia della dignità della persona, prevista dall’art. 32 della carta costituzionale; e quale parametro di legittimità di ogni trattamento sanitario. La Dichiarazione anticipata di trattamento, con efficacia vincolante, deve costituire lo strumento di espressione, da parte di ciascuno, della sovranità su di sé e sul proprio corpo, come ha anche riconosciuto la Corte costituzionale;
Amnistia e Indulto. Come la Corte europea dei diritti umani continua a ribadire, una pena detentiva eseguita in condizioni inumane costituisce una delle più gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona e dei principi cardine dello Stato di diritto. La mancanza palese di uno spazio personale – in un contesto, peraltro, di negazione assoluta di ogni percorso rieducativo - costituisce di per sé, secondo la Corte, un trattamento inumano, degradante, una forma, cioè, di tortura, praticata ogni giorno nei confronti di condannati e detenuti in attesa di giudizio (come tali peraltro da presumersi innocenti). Alla luce di questo contesto, è ineludibile approvare anzitutto misure capaci di ridurre, nell’immediato, il sovraffollamento e di rendere quindi l’esecuzione della pena conforme alla funzione rieducativa che, sola, la legittima, secondo l’art. 27 della Costituzione italiana. A tal fine, nell’esercizio di quel potere clemenziale riservato al Parlamento, si prevede una amnistia per tutti i reati commessi entro il 14 marzo 2013 per i quali è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena, ferme restando alcune esclusioni per i reati connotati da maggiore pericolosità sociale e lesivi di beni giuridici di rango costituzionale particolarmente elevato. Analoghe esclusioni sono previste per l’indulto, che è concesso nella misura di tre anni in linea generale e di cinque per i soli detenuti in gravi condizioni di salute. Si tratta di misure che, in quanto complementari, potrebbero avere un effetto importante, oltre che sul sovraffollamento penitenziario, anche sul contenzioso giudiziario ma che, in ogni caso, devono essere affiancate da modifiche al sistema penale sostanziale e processuale nonché all’ordinamento penitenziario. Disegno di legge Concessione di amnistia e indulto
Passaggio a livello Abbiate coraggio, per cortesiaUbaldo Pacella Politica italiana ovvero l’arte del fallimento o della dissoluzione La barca della politica italiana è preda di una tempesta ancor più maligna di quella del lago di Tiberiade evocata nel Vangelo. Non riesco, con tutta la speranza, a capire chi possa essere il nocchiero in grado di sottrarla al cupio dissolvi che oggi sembra ammantare quelli che nel Novecento venivano definiti come i santuari della politica. Le fragili onuste spalle di Giorgio Napolitano sembrano dover sovvenire ad una fuga dalla realtà che accomuna - a ben diverso titolo, vale la pena di sottolinearlo - il PD, il PDL e la tremula e scossa lista civica di Monti. Una riflessione estemporanea prende le mosse proprio dall’evaporazione dell’attuale Presidente del Consiglio Mario Monti, quanto meno dall’informazione dei mass media nazionali. Preso atto del marginale credito di cui gode tra gli elettori, il già auspicato salvatore della Patria a nostre spese si è completamente defilato da ogni dibattito o soluzione di una crisi di cui egli stesso è attivamente responsabile, con una improvvida candidatura apertamente osteggiata dal presidente Napolitano.
Tortura permettendo Le violenze al Global forum di Napoli e una legge mai inserita dall’Italia nel codice penale Luigi Manconi Partiamo da un fatto di cronaca. Il 17 Marzo del 2001, nel corso delle manifestazioni violente verificatesi in occasione del Global Forum di Napoli, all’interno della caserma Raniero Virgilio un’ottantina di persone - alcune prelevate dai pronto soccorso cittadini - vennero sottoposte per ore a ogni genere di sopruso e umiliazione. Secondo i giudici di primo grado, si trattò di “un vero e proprio rastrellamento” e numerosi fermati subirono trattamenti “inumani e degradanti” da parte di agenti e graduati di polizia. Una sentenza del 2010 ha condannato dieci poliziotti, alcuni dei quali per sequestro di persona. Quest’ultimo reato era uno dei pochi rimasti in piedi in quanto la violenza privata, le lesioni, l’abuso d'ufficio e il falso erano andati prescritti, e una fattispecie penale adeguata a quei “trattamenti inumani e degradanti” non è prevista dal nostro codice. Infine, il 9 gennaio del 2013 anche quelle condanne per sequestro di persona sono state prescritte: e quella vicenda di “violenza di Stato” è stata come cancellata.
Detenuti paralleli Angelo Rizzoli sta per morire di carcere come Stefano Cucchi.Perché si può e si deve evitare Luigi Manconi il Foglio 12 marzo 2013 È difficile immaginare due personalità tanto diverse sotto il profilo sociale e culturale (e, forse, psicologico) quali quella di Stefano Cucchi e quella di Angelo Rizzoli. Eppure, oggi, la combinazione crudele delle circostanze ha portato il secondo in quel reparto detentivo dell’ospedale Sandro Pertini, e nella stessa stanza, dove il trentunenne geometra di Torpignattara ha trovato la morte il 22 ottobre del 2009. Entrambi in custodia cautelare, entrambi atrocemente provati nel fisico e nell’animo. Così differenti le rispettive condizioni di vita e i rispettivi ruoli sociali, eppure un destino comune li ha condotti a una situazione che, si vuole sperare, non dovrà comportare la medesima fine.Chi crede nella meglio politica
Luigi Manconi
Pensare che il recente terremoto politico sia innanzitutto l’esito di una campagna elettorale sbagliata, è davvero puerile. E anche pericoloso, dal momento che si rischia di attribuire le cause di un grande mutamento ad errori tattici, eccesso di sicumera o addirittura – è la considerazione più diffusa, ahimè – a una sbagliata strategia di comunicazione. Insomma, un deficit di propaganda. E, invece, temo che la verità sia un’altra. Qui, subito, anticipo una conclusione che proverò ad argomentare, ma che richiede certamente altri supplementi di indagine. Con le elezioni del 2013 si è manifestato l’esaurimento pressoché definitivo di un’ intera storia politica. Di più, di un intero catalogo di categorie politiche. Sommariamente: si è inaridito il repertorio della politica come l’abbiamo conosciuta nelle democrazie europee a partire dal 1945. E se la crisi attuale riguarda innanzitutto il Pd è perché questo partito rappresenta l’ultimo retaggio, il più consistente e vitale nonostante tutto, di quella stessa politica e di quelle culture politiche che ha ispirato. È importante, soprattutto, considerare che, a esaurirsi, sia tutta intera, ma proprio tutta intera, quella storia: da Palmiro Togliatti a Matteo Renzi, da Alcide de Gasperi a Nichi Vendola, dalla Dc al PSI, dal Partito repubblicano a Rifondazione comunista, passando per Lotta continua e i Verdi (la sola eccezione è forse quella del Partito radicale, che costituisce un modello autonomo). In altre parole politica di Giuseppe Dossetti e Giorgio Napolitano, ma anche di quelle componenti in apparenza così irreparabilmente altre, che produssero l’estremismo di sinistra, e, più di recente, il giustizialismo dolente e testimoniale della Rete e quello rancoroso e vendicativo dell’Italia dei Valori. E persino, lo dico senza alcun intento provocatorio, la patologia della violenza politica di sinistra. Ciò che differenzia queste organizzazioni fino a farle apparire assolutamente incomparabili, è del tutto evidente. Meno evidente, forse, ciò che le rende affini. Ovvero almeno due ordini di fattori: a. un’idea della partecipazione e della rappresentanza politica; b. un’idea della coesione e della giustizia sociale. La Dc così come Lotta continua (va da sé: ciascuno con il suo linguaggio e con i suoi strumenti) investivano su una sequenza che andava dall’economico al sociale all’istituzionale, dalla micro comunità al gruppo e alla classe, dalla partecipazione diretta alla delega, dalla parrocchia o dal quartiere al mondo. E tutte quelle formazioni, ciascuna con la sua strategia, miravano a incrementare l’unità e a ridurre le ingiustizie. L’unità faceva riferimento ad aggregati diversi (il popolo o il proletariato, gli sfruttati, i produttori, i cittadini…) e la giustizia si proponeva come ribaltamento dei rapporti di potere oppure come solidarismo universalistico: ma entrambe ( l’unità e la giustizia) costituivano il senso stesso, ancor prima che il fine, dell’azione politica. E si portavano appresso un repertorio assai ampio di strumenti e luoghi: il partito innanzitutto, ma anche il sindacato “amico”, e poi le sezioni e i circoli, gli organismi locali e quelli nazionali, gli altoparlanti e il giornale di riferimento, i patronati e le associazioni di categoria, la militanza politica e quella aziendale, i funzionari e i leader, i congressi e gli inni, la formazione e la selezione dei dirigenti, i manifesti e le tessere e le feste e i comizi e le bandiere e i megafoni… Tutto ciò sembra ormai finito (o quasi). Lo è certamente per il 65% dei votanti alle ultime elezioni. Resta un 35%, destinato - per incalzanti ragioni demografiche – a ridursi a un 25%, che sembra riconoscersi tutt’ora nelle categorie politiche classiche. Ma il restante elettorato, press’a poco 3 cittadini su 4, è altrove e pensa e opera e vota altrimenti. Ciò che sembra finita è, dunque, una concezione della politica come successione di azioni collettive, basate sullo scambio e sul rapporto faccia a faccia, vissute all’interno di aggregazioni via via più ampie e affidate a relazioni orizzontali, che successivamente si sviluppano verso l’alto. Una concezione dove l’esperienza individuale viene immediatamente ricondotta a una dimensione sociale, che non intende annullare la prima, ma potenziarne l‘energia. Una concezione, ancora, dove l’ ”uno vale uno” è il punto di partenza, da cui muovere per superare l’isolamento e non la tappa d’arrivo di un’autonomia che rischia immancabilmente la solitudine. Una simile idea della politica, dicevo, affonda oggi in una crisi irreparabile, logorata dall’azione congiunta di berlusconismo e grillismo. Entrambi, non a caso, partiti a struttura piramidale-autoritaria, dove massima è la personalizzazione mitologica del Capo, e tra il vertice e l’elettorato c’è solo il vuoto: attenuato nel caso del PdL, dalla rete del notabilato e degli eletti nelle istituzioni; e ,nel caso del partito Cinque Stelle, rattoppato dalla rete del web, tanto fredda quanto de-responsabilizzante. Dopodiché, resta un problema grande come una casa: se è vero che il 75% dell’elettorato sta fuori da quell’idea di politica prima descritta, è altrettanto vero che in altri paesi europei le culture politiche tradizionali ( e le categorie di destra e di sinistra) sono tutt’ora vive e attive; e che, in Italia, un 25% dei votanti a quella stessa idea resta fedele. E non per istinto di conservazione. Bensì perché quella è la politica nella quale si identifica e alla quale affida le proprie attese di giustizia sociale. Guai a dimenticarlo.
l'Unità 6 marzo 2013
Chi crede nella meglio politica
Luigi Manconi
Pensare che il recente terremoto politico sia innanzitutto l’esito di una campagna elettorale sbagliata, è davvero puerile. E anche pericoloso, dal momento che si rischia di attribuire le cause di un grande mutamento ad errori tattici, eccesso di sicumera o addirittura – è la considerazione più diffusa, ahimè – a una sbagliata strategia di comunicazione. Insomma, un deficit di propaganda.
Cav. indifendibile
La retorica del "mancheismo" di ferrara non possono cambiare la realtà del caso De Gregorio
Luigi Manconi
Scrive Giuliano Ferrara : “i capi del Pd, confortati dal tifo come sempre improvvido della loro base e dei loro giornali di riferimento della nota lobby, sostengono che per garantire la governabilità del paese e la sua sicurezza, bisogna parlare con i grillini, non con Berlusconi” ( il Giornale, 03-03-2013). Questo severo rimbrotto viene al termine di un articolo nel quale viene confrontata la pluridecennale affidabilità di Silvio Berlusconi con la insidiosa e temibile imprevedibilità di Beppe Grillo e del partito Cinque Stelle. Mi trovo d’accordo sulla definizione del secondo termine di paragone,ma trasecolo per come viene argomentato il primo: ovvero la presunta credibilità di Berlusconi. Per fare questo, il direttore del Foglio dà fondo alla sua riserva ( davvero inesauribile) di realismo politico e disegna un ritratto di Berlusconi dove domina l’elemento della contraddittorietà feconda. Un fattore, quest’ultimo, che interessa molto pure me, ma che sollecita Ferrara a una affettuosa e comprensiva, fino alla più sbraccata indulgenza, valutazione di un’attività politica che, effettivamente, ha segnato una fase importante della storia nazionale. Ma, accettata un po’ per espediente dialettico e un po’ per gusto del paradosso, una rappresentazione bonaria della personalità e del ruolo di Berlusconi – all’insegna di un MA ANCHEISMO che nemmeno Walter Veltroni - il lettore dell’articolo di Ferrara incontra, proprio a metà dello scritto, una curva mozzafiato. È laddove si legge: “ Testimoni e mediatori d’accatto sono diventati campioni di verità giudiziaria: per questi (…)avrebbe fatto compravendita di parlamentari che si mettevano all’asta”. Piano, piano. Qui la questione si fa maledettamente seria, ed è un vero peccato che Ferrara l’abbia voluta trattare così, di sguincio, alla stregua di una “ telefonata gentile alla questura di Milano” classificata come “ concussione”. Va da sé che la confessione di Sergio De Gregorio non è assimilabile alle trascrizioni delle telefonate delle olgettine. Nel caso dell’asserito versamento di tre milioni di euro- tutto da dimostrare, per carità- le accuse di corruzione e di illecito finanziamento ai partiti configurerebbero un’attività non riducibile a quella che è, secondo Ferrara, la fisiologia ( magari un po’ alterata) del sistema. Saremmo in presenza di un fatto di enorme rilievo, qualificabile come un crimine politico. La manipolazione, cioè, del processo democratico attraverso un’azione che in nessun modo può rientrare nell’ambito della lotta politica condotta con mezzi politici. Ciò aiuta a comprendere, forse, perché il Pd mostra qualche esitazione a stringere un patto politico con il PdL. Mi è capitato di parlarne con tre persone, a vario titolo collegabili al partito di Berlusconi: un parlamentare di un certo peso, un sostenitore convinto,un elettore disincantato. Tutt’e tre – ecco il punto- si mostravano piuttosto inclini a considerare come assolutamente credibili le accuse di De Gregorio. E ciascuno portava un proprio argomento: e sono– presi tutti insieme – gli argomenti ricorrenti negli scritti apologetici del direttore del Foglio. Eccoli: 1. L’uomo è fatto così, con le sue generosità e le sue illegalità : “ Si può dire che ha governato male, si può disconoscere ogni suo merito, ma siamo nella regola, siamo restati nella regola”; 2. Berlusconi è l’arci-italiano: il suo carattere è il “carattere nazionale” ; 3. La politica non è “ uno sport per signorine”: non esistono colpi proibiti, ma solo mosse efficaci o mosse inefficaci. Ecco, qui sta il punto, ho la sensazione che Berlusconi, il PdL e lo stesso Ferrara sottovalutino qualcosa che difficilmente può essere ignorato. Si è passato il limite. E molto considerano ciò intollerabile. Quel “ carattere nazionale”, quella torpida e ammiccante doppia morale, quell’ accomodante saper vivere e quella loffia arte di arrangiarsi, che indubitabilmente hanno rappresentato una parte importante dell’identità collettiva, non funzionano più, o funzionano assai meno. Forse non per ragioni virtuose ( per una ritrovata onestà o per un rinnovato spirito civico) bensì solo perché sono entrati in conflitto interessi divergenti; o perché, semplicemente, il sistema non può più reggere un eccesso di alterazione e una deformazione così dirompente da rischiare la rottura. E questo rende improponibile anche il ricorso automatico al garantismo. Scrivo su questo giornale da quindici anni, e sempre da posizioni politiche diverse, e più spesso opposte a quelle del direttore; a partire da opzioni culturali non altrettanto radicalmente differenti; e quasi sempre con opinioni coincidenti in materia di garantismo penale ( pur se il garantismo di questo giornale risente spesso di tentazioni classiste), ma qui il problema è, palesemente, politico e, solo in seconda istanza, giudiziario. E, se volessimo porlo ancora una volta sul piano del “ carattere nazionale” o, a scelta, su quello della psicologia individuale , l’interrogativo ha comunque un suo irresistibile candore e una sua micidiale semplicità: Sergio De Gregorio ha perso la testa oppure, dobbiamo concludere, è asciuto pazzo ’o padrone.
il Foglio 5 marzo 2013
Cav. indifendibile
La retorica del "mancheismo" di ferrara non possono cambiare la realtà del caso De Gregorio
Luigi Manconi
Scrive Giuliano Ferrara : “i capi del Pd, confortati dal tifo come sempre improvvido della loro base e dei loro giornali di riferimento della nota lobby, sostengono che per garantire la governabilità del paese e la sua sicurezza, bisogna parlare con i grillini, non con Berlusconi” ( il Giornale, 03-03-2013). Questo severo rimbrotto viene al termine di un articolo nel quale viene confrontata la pluridecennale affidabilità di Silvio Berlusconi con la insidiosa e temibile imprevedibilità di Beppe Grillo e del partito Cinque Stelle.
Pessimismo nero
IL VOTO: SMARRIMENTO E CITTADINANZA
Ubaldo Pacella
Sono appena concluse le elezioni italiane e le rovine fumanti di un decrepito sistema politico fanno da sfondo allo sgomento che investe milioni di cittadini e tutti gli analisti e commentatori nostrani e internazionali.
Il fenomeno 5 stelle ha prodotto uno sconquasso politico istituzionale che molti temevano, ma nessuno aveva previsto nelle attuali proporzioni.
Ottimismo rosa
Se ne possono fare, di coeve buone, in un anno.
Stefano Anastasia
Da vent’anni ormai, in epigrafe a uno dei migliori periodici italiani sta lì, immobile, una frase dell’Amleto di Shakespeare: “vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia”. Ecco: alla domenica vai a votare e l’indomani scopri che vi sono più cose in cielo e in terra di quante te ne hanno raccontate tutti i sondaggisti e gli opinionisti in giro sulla carta stampata, in tv e nel web. Tutti lì a dar per morto Berlusconi e a fare i conti di quale maggioranza avrebbe potuto avere il Centro-Sinistra, con o senza Monti, e invece eccolo lì lo tsunami evocato da Beppe Grillo in giro per le piazze d’Italia: solo un artificio legislativo consegna al Centro-Sinistra un’ampia maggioranza alla Camera; per il resto, l’Italia per anni divisa in due ora si divide per tre, senza vincitori né vinti.
Altrove si dirà dello tsunami, delle sue cause e dei suoi effetti, di come sia montata quella marea e di cosa chiede. Intanto ci si affanna a trovare “la quadra”, come diceva un vecchio senatur travolto dai suoi stessi marchingegni. A chi ha la maggioranza in almeno una delle due camere la responsabilità di fare la prima mossa: pochi punti programmatici che potranno essere condivisi oppure no, come vogliono i nuovi rappresentanti della politica à la carte. A ciascuno, poi, la responsabilità di consentirla questa scelta sul menù, e dunque – innanzitutto – di garantire che il maître abbia la fiducia in entrambe le camere. Quindi si potrà discutere nel merito, a partire – perché no? – anche da quelle tre proposte di legge di iniziativa popolare, per la legalità nelle condizioni di detenzione, per la depenalizzazione del consumo di droghe, per l’introduzione del reato di tortura già sottoscritte da molti neo-parlamentari, anche del movimento pentastellare. Aggiungiamoci il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia che Bersani si proponeva di fare appena aperte le nuove camere. Se ci fossero queste tre-quattro cose, anche un solo anno di legislatura sarebbe un anno speso bene.
Ottimismo rosa
Se ne possono fare, di cose buone, in un anno.
Stefano Anastasia
Da vent’anni ormai, in epigrafe a uno dei migliori periodici italiani sta lì, immobile, una frase dell’Amleto di Shakespeare: “vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra filosofia”. Ecco: alla domenica vai a votare e l’indomani scopri che vi sono più cose in cielo e in terra di quante te ne hanno raccontate tutti i sondaggisti e gli opinionisti in giro sulla carta stampata, in tv e nel web.
Dettagli
Le misteriose stelle di Grillo, il Che ammanettato da Ingroia, il Cav. satiro e il Vaticano blasfemo
il Foglio 26 febbraio 2013
“Dettagli così piccoli che tu/non sei ancora pronto per capire/ma che comunque contano per dire/chi siamo noi” (Roberto Carlos)
1.Si chiede Antonio Stella: Ma perché il partito più populista che c’è, quello di 5stelle, ha preso il suo nome dalla formula che - nel linguaggio degli hotel e nelle fiction televisive - rappresenta il grado più elevato del lusso? Sindrome da parvenu oppure versione alberghiera dell’antica esortazione “Arricchitevi!”? 2. Antonio Ingroia che definisce Ernesto Che Guevara “il profeta della nostra rivoluzione”, produce un effetto grottesco. Qui la manipolazione raggiunge il vertice del sublime. Quando si era piccini, Ernesto Che Guevara ci piaceva proprio perché era la negazione, magari ambigua, magari esageratamente enfatizzata, della rivoluzione che si faceva potere (ancorché rivoluzionario), del partito che si faceva burocrazia di Stato, del movimento che si faceva conservazione autoritaria. E, poi, piaceva la sua dimensione “impolitica” (la motocicletta, l’epistolario e quella frase: “il faut s'endurcir sans jamais se départir de sa tendresse”). Vederlo ora, il Che, issato come icona di una lista formata, tra gli altri, dai Comunisti italiani, la dice lunga sul connotato “civile” della rivoluzione di Ingroia. I Comunisti italiani sono la residuale propaggine di quell’imperialismo sovietico, reazionario e dispotico (senza averne la terribile grandezza), che odiò Guevara e che non fu estraneo, forse, alla sua stessa morte. 3. Il canone comico è quello suntuosamente elaborato e ipostatizzato in paradigma da Lino Banfi in alcune pietre miliari della cinematografia porcellona (si fa per dire) tra gli anni ’70 e gli ’80. Penso, in particolare, a L'onorevole con l'amante sotto il letto (1981), diretto da Mariano Laurenti. Quel “Quante volte viene?” indirizzato da Silvio Berlusconi ad Angela Bruno, impiegata della Green Power, discende direttamente da lì. Banfi ha giusto due mesi più di Berlusconi, ma ora interpreta il saggio nonno Libero; Berlusconi ha giusto due mesi meno di Banfi e oggi interpreta l’assatanato Banfi di oltre trent’anni fa. Dunque, senza alcuno snobbismo, va riconosciuto che la fonte di quella gag di Berlusconi è autorevolissima, anche perché Banfi, a sua volta, l’ha rintracciata in una tradizione dell’avanspettacolo e, prima ancora, nella comicità di strada, che ha una sua scellerata nobiltà. Ma vederla riprodotta davanti al ghigno infoiato del gentilissimo pubblico di Green Power, è uno spettacolino ributtante. Un po’ ne rimaniamo desolati, abituati come siamo a esercitare quel sano autocontrollo che destina il tic indecoroso - o l’innocua perversione o il gusto cialtronesco o il linguaggio greve o il motto scurrile – alla sfera privata e delle relazioni amicali. Un po’ ne restano sedotti quelli che, come Giuliano Ferrara, vi ritrovano i contorni dell’arci-italiano e della sua umanità tronfia e ribalda. Due cose sfuggono a Ferrara: che quella vocazione lubrica nega a tal punto la tesi difensiva delle “cene eleganti” da risultare una sorta di ammissione di colpa. E che il solo tratto che davvero rende umana quella maschera satiresca è quel tanto di disperazione che non riesce a occultare e che persino Ferrara, chissà perché, vorrebbe negare. Chiedere che lo percepiscano “le donne del Cavaliere”, è pretendere troppo. Si veda la dichiarazione di Mariastella Gelmini: «Noi donne del Pdl siamo orgogliose di stare con Berlusconi e non con una sinistra vecchia, sterile, retrograda, incarognita, triste e che non sorride mai». Qui torna un argomento rivelatore: nella propaganda del centrodestra, la sinistra sarebbe “triste”. Il che potrebbe persino costituire un argomento di qualche consistenza se a quella sinistra “che non sorride mai” non venissero contrapposte – come esempio di “allegria”, gioia di vivere, capacità di essere ironici, leggeri e perfino, felici - le barzellette di Silvio Berlusconi e la sua grassoccia ilarità. Quest’ultima, chiaramente, assomiglia sempre più a un rictus: e “l’uomo che racconta barzellette” – mi è già capitato di notarlo – in tutta la narrativa occidentale è, da sempre, la figura letteraria della malinconia, se non della tetraggine. Se gli apologeti di Berlusconi gli riconoscessero quel tratto di disperazione che la decadenza fisica, la vulnerabilità intellettuale e l’inquietudine del trascorrere del tempo regalano agli essere umani, dimostrerebbero almeno di volergli un po’ di bene. E non solo di servirsene tanto abilmente quanto lui sa servirsi delle donne. 4. Secondo la Segreteria di Stato (23 Febbraio 2013), “È deplorevole che […] si moltiplichi la diffusione di notizie spesso non verificate, o non verificabili, o addirittura false” capaci di “condizionare” il Collegio Cardinalizio. Condizionare il Conclave? Capirei se parlassimo dell’opinione pubblica, magari di quella cattolica, ma pensare che “notizie non verificate” possano influenzare i cardinali, vuol dire considerarli alla stregua di giurati di X Factor. Tentazioni secolariste, e forse qualche traccia di blasfemia, nel linguaggio della Segreteria di Stato.
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“Dettagli così piccoli che tu/non sei ancora pronto per capire/ma che comunque contano per dire/chi siamo noi” (Roberto Carlos)
1.Si chiede Antonio Stella: Ma perché il partito più populista che c’è, quello di 5stelle, ha preso il suo nome dalla formula che - nel linguaggio degli hotel e nelle fiction televisive - rappresenta il grado più elevato del lusso? Sindrome da parvenu oppure versione alberghiera dell’antica esortazione “Arricchitevi!”?
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