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“Morire di carcere”: dossier agosto 2004
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Agosto: nelle carceri italiane altri 11 detenuti sono morti tra il caldo e l’abbandono. Sei suicidi, cinque decessi per malattia.
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[08/09/04] Agosto: nelle carceri italiane altri 11 detenuti sono morti tra il caldo e l’abbandono. Sei suicidi, cinque decessi per malattia.
Assistenza sanitaria disastrata: 1 agosto 2004, Carcere di San Vittore (Mi)
Shi Ping, 34 anni, di nazionalità cinese, muore di tumore. Era in carcere da 4 mesi, ma non conoscendo l’italiano non riusciva a comunicare con nessuno. Lascia la moglie e un bambino (Il Due Notizie, settembre 2004)
Assistenza sanitaria disastrata: 4 agosto 2004, Carcere di Sassari
Salvatore Tommasini, 44 anni, detenuto nel carcere di San Sebastiano, muore al policlinico di Sassari, dove era ricoverato per un intervento chirurgico a un occhio. L’operazione era perfettamente riuscita, oggi Tommasini sarebbe stato dimesso, ma forse proprio il terrore di rientrare in cella lo ha ucciso. La sua reclusione aveva i giorni contati: gli era stata concessa la libertà anticipata, e fra un paio di settimane sarebbe stato un uomo libero. “Quando ha saputo che sarebbe ritornato in cella si è sentito subito male”, raccontano i familiari “era molto agitato, e tremava all’idea di finire ancora dietro le sbarre”. Ieri mattina, non è riuscito a superare l’ansia e la paura.
In carcere Tommasini entra cinque anni fa, condannato per avere inferto una coltellata contro la moglie dopo un litigio fra le mura domestiche. I suoi giorni a San Sebastiano sono una vera tortura, fisica e psicologica. Si ammala subito, “ma i medici del carcere non gli hanno mai creduto”, denuncia la famiglia. Poco tempo dopo la condanna Salvatore Tommasini è operato d’urgenza per un ematoma al cervello.
Quindi un secondo intervento, perché il primo non ha ottenuto gli effetti sperati. Tommasini non si riprenderà mai del tutto, e la permanenza in carcere non fa che aggravare il suo stato di salute. Ha crisi continue, e alterna momenti di apparente lucidità a svenimenti, crisi epilettiche e malori insopportabili. La reclusione prosegue, anche se i medici gli avevano diagnosticato una grave forma di “disturbo dell’adattamento che tende a peggiorare ogni volta che fa rientro in carcere”.
La famiglia chiede un’infinità di volte un incontro con il direttore del carcere: “Non ci hanno mai risposto - denunciano i familiari -. Dal carcere hanno sempre sostenuto che fosse solo un visionario nevrotico. Per questo non gli hanno mai somministrato le cure necessarie”. (L’Unione Sarda, 5 agosto 2004)
Suicidio: 7 agosto 2004, Carcere di Regina Colei (Rm)
Detenuto italiano di 20 anni si toglie la vita inalando il gas della bombola con cui cucinava nella sua cella. Al ragazzo, alla fine di maggio, erano stati revocati gli arresti domiciliari. Il ritorno in carcere sembra dunque essere la causa dell’ennesima tragedia avvenuta dietro le sbarre di una Casa circondariale. Il dolore degli altri detenuti e degli agenti della Polizia penitenziaria si è subito trasformato in un messaggio di forte solidarietà alla famiglia del giovane.
Si tratta del quarto suicidio nelle celle degli istituti di pena romani negli ultimi tre mesi. Sempre con una bombola a gas il 24 giugno si era tolto la vita un uomo di 40 anni, mentre si trovava nell’infermeria del Nuovo complesso di Rebibbia, chiudendosi poi la testa con una busta di plastica. Sempre a Rebibbia a metà maggio, a distanza di pochi giorni, due detenuti si erano uccisi impiccandosi con il lenzuolo ridotto a brandelli alle sbarre delle celle. Il primo, 41 anni, era stato dichiarato per ben due volte incapace di intendere e di volere dal Tribunale di Roma, che ne aveva consigliato il trasferimento all’ospedale psichiatrico giudiziario. Il secondo era un ragazzo di vent’anni che credeva di aver finito la sua detenzione. All’origine del suo gesto lo sconforto nell’avere appreso che invece lo aspettava un altro anno dietro le sbarre. (L’Unità, 9 agosto 2004)
Suicidio: 13 agosto 2004, Carcere di Poggioreale (Na)
Pasquale Scognamiglio, 79 anni, detenuto per reati comuni, si impicca nella sua cella del Centro Clinico di Poggioreale. Avrebbe terminato la pena entro pochi mesi. Suo nipote, anch’egli detenuto scrive al “Mattino” di Napoli: “È stato trattato come una qualsiasi cosa, che va messa in un sacchetto di spazzatura e buttata via; il solo pensiero che aveva scontato quasi tutta la sua pena fa venire i brividi anche a un orso polare. E i giornali non hanno nemmeno dato la notizia. (Il Mattino, 23 agosto 2004)
Suicidio: 13 agosto 2004, Carcere di Vercelli
Giovanni D’Andria, 38 anni, si uccide con il gas della bomboletta. Era arrivato da pochi giorni nella casa circondariale di Billiemme e oggi sarebbe ripartito verso il carcere milanese di Opera. Ma l’ossolano Giovanni D’Andria, 38 anni, di Vogogna, accusato di aver strangolato la sua ex convivente Emanuela Crippa, 32 anni, di Verbania, nella notte tra giovedì e venerdì non ha resistito: probabilmente schiacciato dal rimorso si è tolto la vita.
Il corpo senza vita è stato trovato dalle guardie penitenziarie poco dopo le 8 di ieri nella cella che fino al giorno prima condivideva con un altro detenuto, ricoverato però in ospedale il giorno precedente per un intervento chirurgico urgente. Le poche ore di solitudine avrebbero fatto scattare nella mente di Giovanni la molla che già da tempo, pare, sarebbe stata in tensione. Secondo l’avvocato difensore Marisa Zariani, infatti, Giovanni D’Andria avrebbe ripetutamente manifestato l’intenzione di uccidersi. Al punto che l’avvocato aveva richiesto al magistrato inquirente della Procura di Verbania un incidente probatorio per valutare la condizioni psichiche del D’Andria. Richiesta alla quale il Pm Baj Macario si era opposto disponendo invece una visita medica per accertare le condizioni fisiche del detenuto in ordine ai problemi visivi di cui soffriva.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, D’Andria avrebbe a lungo inalato il gas della bomboletta da campeggio impiegata per cucinare i cibi in cella e si sarebbe stretto il capo in un sacchetto di plastica di norma adibito alla conservazione della scorta di viveri. Un primo referto medico ascriverebbe ad asfissia la causa della morte ma solo l’autopsia, disposta per lunedì dal sostituto procuratore Marina Eleonora Pugliese, darà il responso preciso.
Il delitto di Emanuela Crippa risale al 19 giugno scorso, nella casa di Giovanni, a Vogogna. Già allora, raccontò, si rese conto della gravità del gesto e tentò di farla finita infilando la testa in un sacchetto di plastica. Poi tentò una breve fuga nei boschi vicini e dopo poche ore si consegnò ai carabinieri di Premosello Chiovenda e confessò tutto. (La Stampa, 14 agosto 2004)
Assistenza sanitaria disastrata: 14 agosto 2004, Carcere di Secondigliano (Na)
Nabil Arbi, 26 anni, di origini marocchine, muore per arresto cardiaco. Forse il suo cuore ha ceduto per il gran caldo e l’insufficiente circolazione d’aria, nella cella che condivideva con altri sei detenuti. Era stato arrestato per violazione della legge sulle droghe e avrebbe finito la pena nel 2007. Non si può dire che nel secondo carcere della Campania, quello di Secondigliano, 1.500 detenuti su una capienza di 790 posti, circa 800 agenti, sei educatori, la situazione sia serena. A rendere il clima ancora più teso ci hanno pensato i pubblici ministeri della Procura di Napoli, che hanno chiuso il dibattimento, in primo grado, con la richiesta di condanna per i venti agenti accusati di maltrattamenti nei confronti dei detenuti, tra il 1995 e il 1999. Inaugurato nel 1992 nella periferia di Napoli, il carcere si proponeva di essere un modello alternativo a quello tristemente famoso di Poggioreale. Aspettative immediatamente disattese. Il carcere impronterà la propria gestione a un modello autoritario, appena mitigato da un reparto di custodia semi-attenuata in grado di ospitare un’ottantina di detenuti. (Il Mattino, 23 agosto 2004)
Suicidio: 16 agosto 2004, Carcere di Sulmona (Aq)
Camillo Valentini, 50 anni, Sindaco del Comune di Roccaraso, arrestato la notte tra il 13 e il 14 agosto per concussione, si uccide nella cella dei “nuovi giunti” infilandosi un sacchetto di plastica sopra la testa, i lacci delle scarpe a serrare la gola, a togliere il respiro.
“Suicidio”, ha decretato il direttore del penitenziario Giacinto Siciliano. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha aperto un’inchiesta amministrativa per stabilire le responsabilità nel carcere. La procura di Sulmona ne ha aperta un’altra per fare luce sulla morte: oggi sarà fatta l’autopsia, rinviata da ieri perché non c’era un magistrato disponibile per formulare i quesiti legali. Anche la famiglia del sindaco vuole vederci chiaro. “La famiglia non crede al suicidio, non ci crediamo: perciò nella sala dell’autopsia ci sarà un perito nominato dai familiari”.
Giuseppe Di Virgilio si mette tra i familiari di Camillo Valentini. “Era praticamente un fratello” dice lui, che era il vicesindaco di Roccaraso e con Camillo Valentini ha diviso vent’anni di professione e amicizia e ora si trova a dividere anche le stesse accuse dell’inchiesta.
È stato Di Virgilio il primo ad essere avvisato: “Alle 8 mi hanno chiamato i carabinieri: “Si è ucciso Camillo e ha lasciato un biglietto per te”. Ero dall’avvocato, riguardavamo le carte prima dell’interrogatorio. Era fissato per le 10 e Camillo lo aspettava con ansia. Aveva molto da dire. Retroscena importanti che non stanno nelle carte. Quello che c’era nelle carte erano storie vecchie: episodi del 2001, 2002. Per quelle storie Camillo aveva già avuto un processo all’Aquila ed era stato prosciolto con formula piena. C’era altro dietro. Non si è suicidato. Qualcuno non ha voluto che dicesse cose scomode”. (Corriere della Sera, 17 agosto 2004)
Assistenza sanitaria disastrata: 17 agosto 2004, Carcere di Poggioreale (Na)
Bruno De Martino, 36 anni, viene ritrovato morto nel letto della sua cella. I compagni di cella scrivono al “Mattino” di Napoli: “C’era un nostro amico, il suo nome era Bruno De Martino. Purtroppo adesso non c’è più, è morto l’8 luglio. Il giorno prima era andato dal medico perché si sentiva poco bene, il medico gli dato un medicinale dicendogli che stava bene, ma purtroppo la mattina non si è più svegliato. Il nostro amico era entrato per scontare una pena di quattro mesi, ma questo carcere gli è stato fatale, in un altro non sarebbe successo. In una stanza quattro per quattro viviamo in otto e verso le 11 chiudono il blinda, da quel momento non si riesce più a respirare e purtroppo qui ci sono molti detenuti anziani, chi è malato di cuore, chi ha l’asma, ma qui non vengono presi provvedimenti perché nessuno ci vede e ci sente. Noi siamo giovani pieni di vita con delle famiglie che ci aspettano e non vogliamo uscire morti di qui perché qui fanno abusi di ogni tipo, ci hanno tolto ogni dignità. Noi vogliamo pagare i nostri errori, dicono che gli animali devono essere trattati bene, ma a noi ci trattano peggio delle bestie, ci tengono rinchiusi con appena due ore di aria, una la mattina, una il pomeriggio; e dobbiamo scendere con pantaloni lunghi e magliette: pantaloncini e canotte non sono ammessi, se no non ti fanno scendere. Per lavarci, cioè farci la doccia, dobbiamo aspettare il mercoledì e il sabato e con questo caldo immaginate voi come si soffre. Ma lasciamo stare questo discorso perché è una sciocchezza di fronte a quanto accaduto a De Martino. Poggioreale ha fatto un’altra vittima. (Il Mattino, 23 agosto 2004)
Suicidio: 22 agosto 2004, Carcere di Frosinone
Vasile Tanase, 28 anni, di nazionalità rumena, si impicca in cella. Il giovane ha legato il laccio di una scarpa da tennis a una sbarra e ci ha infilato la testa. “Era disperato - racconta il suo avvocato, Fernando Catanzaro -. La procura di Trieste gli aveva notificato una condanna definitiva a due anni, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, un processo di cui lui non aveva mai saputo nulla. Era convinto che ci fosse stato uno scambio di persona”.
La morte del rumeno è stata comunicata alle autorità, ma non alla famiglia e al legale. “Vasile era assistito da uno psichiatra - spiega Catanzaro -, ma era in una cella singola. Solo, depresso, gli hanno lasciato i lacci delle scarpe. Perché? E fino a che punto l’hanno sorvegliato? Da parte del carcere c’è stata troppa leggerezza”. (Il Messaggero, 24 agosto 2004)
Assistenza sanitaria disastrata: 26 agosto 2004, Carcere di Como
Sergio La Scala, 28 anni, muore in cella per un’embolia polmonare. Sul caso è in corso l’inchiesta della Procura di Como per accertare eventualità responsabilità, ma al momento non risultano indagati. I detenuti del carcere di Como accusano tutto il sistema sanitario interno, ritenendo lo stesso responsabile della morte del compagno. Scrivono così al giornale “La Provincia” di Como: “Sergio era un ragazzo nel pieno delle sue forze. Da circa una settimana, però, lamentava un malessere continuo, cali di pressione, colorito assente, cosa preoccupante vista la sua tonicità e i suoi anni. Per questo siamo ancora tutti increduli ed attoniti per il dramma che si è consumato tra queste mura. Può un ragazzo nel fiore della vita morire così, per l’indifferenza o per la mancanza di visite, cure specialistiche e ospedaliere quando manifesti sintomi evidenti e fuori dal normale?
La tragedia avvenuta però non deve stupire più di tanto. È capitato purtroppo a Sergio, ma poteva accadere a ciascuno di noi. Medicinali specifici non esistono più, due prodotti di cui non vogliamo fare il nome sono le panacee di tutti i mali e dolori possibili. Come è possibile? I detenuti sono “costretti” a subire rapporti e denunce proprio per queste carenze croniche ed ottenere magari così l’estrazione di un dente, dopo giorni senza poter dormire e impazzire per avere terapie salvavita. Il governo continua a tagliare i fondi della sanità pubblica e a rimetterci sono sempre le fasce più deboli. Noi siamo l’ultimo anello, non abbiamo alcuna possibilità di scelta riguardo alle cure, e per questo pretendiamo che uno stato civile (o sedicente tale) abbia nei riguardi della gente da esso ristretta, un’assistenza sanitaria conforme ai dettami stabiliti per Costituzione. Vivere nel disagio per sbagli commessi (sicuramente non da tutti) può essere anche giusto, ma vivere nell’angoscia e nella pena del dolore è barbarie.
Il carcere del Bassone, costruito negli anni ottanta, aveva celle adibite a ospitare una persona: dopo vent’anni tali spazi possono ospitarne quattro! Se questa è la nostra civiltà che avanza possiamo ripartire per le crociate. Denunciato questo, ci uniamo al profondo dolore della mamma di Sergio, dei parenti e degli amici tutti per la perdita della persona cara. Augurandoci che la sua scomparsa serva ad aprire gli occhi e a sensibilizzare riguardo la situazione vissuta. Sicuramente lo merita. Ciao Sergio. I detenuti del Bassone. (La Provincia di Como, 28 agosto 2004)
Suicidio: 31 agosto 2004, Carcere di Belluno
Massimo Peterle, 30 anni, si impicca nella sua cella. Era in attesa di giudizio per un’accusa di violenza sessuale. Prima di uccidersi ha scritto un biglietto, nel quale proclama la sua innocenza. Al suo funerale gli amici espongono un cartello: “Ingiustizia è fatta, sarai sempre con noi”.
Alla cerimonia religiosa è intervenuto anche don Carlo, cappellano della casa circondariale di Baldenich, che ha espresso la solidarietà ed il dolore della direzione, dei detenuti e della polizia penitenziaria perché - ha detto - anche in carcere c’è un cuore per comprendere. (Il Gazzettino, 3 settembre 2004)
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