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La «non politica» del ministro Castelli

Parla Franco Corleone, ex sottosegretario alla giustizia nei governi dell'Ulivo

articolo - italia - - - Il Manifesto - - Carcere

[12/08/03]

Il Verde Franco Corleone con l'Ulivo è stato sottosegretario alla giustizia con delega alle carceri dal 1996 al 2001.

Poggioreale è solo un esempio drammatico. Perché siamo arrivati a questo punto?

Il regolamento approvato dal centrosinistra nel 2000 rappresenta un cambiamento radicale nella visione del carcere nel nostro paese. Avevamo raccolto le idee e il dibattito sviluppato a partire dall'approvazione della legge Gozzini del 1987. Perché Castelli non dà le risorse per applicarlo?

Ma il sovraffollamento rimane. Ed è cresciuto anche quando al governo c'era l'Ulivo...

Io contesto il fatto che il sovraffollamento sia legato ai posti letto disponibili. Il discorso va spostato sulla popolazione complessiva. Per il nostro paese, un detenuto ogni mille abitanti è già un indice di sovraffollamento. La colpa è nell'atteggiamento securitario: la tolleranza zero contro la microcriminalità sposta il problema senza risolverlo.

Che si può fare per migliorare le carceri?

Innanzitutto bisogna chiudere le carceri della vergogna, come Savona, Marsala e Pordenone, e costruirne altre. Il problema però non è solo lo spazio delle singole celle. Si deve parlare degli spazi comuni: quelli dedicati all'aria e al tempo libero, al lavoro e all'istruzione. Soprattutto di questo le carceri sono carenti. Ecco perché, spesso, si sta sempre chiusi in cella. Le condizioni di vita in carcere dipendono da tanti fattori, non solo dalla struttura edilizia: il direttore, i volontari, il rapporto con l'esterno. Bisogna agire su tutti questi fronti.

Dal 1990 ad oggi i detenuti sono quasi raddoppiati. Da 30mila siamo a oltre 57mila. Perché?

Nel 1990 accadono due cose. L'ultimo indulto approvato nel nostro paese e la legge Jervolino-Vassalli sulle droghe, che da sola incarcera da un terzo alla metà dei detenuti italiani. La legge sulle droghe va rivista.

Il carcere stesso rappresenta solo una parte del sistema penale. La cosiddetta area penale è molto più vasta...

Noi avevamo approvato leggi avanzate, per tutti i detenuti. La legge Simeone-Saraceni, quella sulle detenute madri, sui malati di Aids, la Smuraglia sul lavoro. Avevamo anche pensato a favorire l'affettività, a incontri a porte chiuse con il proprio partner o coniuge, misura che poi è stata bocciata.

Altro punto sui cui lavorare, e se ne parla da anni, è il nuovo codice penale...

Bisogna arrivare a un diritto penale minimo, depenalizzando una lunga serie di reati, tra cui quelli ideologici del codice Rocco. Ci sono delitti nuovi che non vengono perseguiti: contro l'ambiente o i reati dei colletti bianchi. Invece si persegue solo la piccola criminalità o i tossicodipendenti.

Come si possono applicare meglio le misure alternative?

Devono essere pronunciate dal giudice già in sentenza. Si può pensare a pene interdittive o riparative, per esempio. Come accade con il giudice di pace. Dobbiamo variare le forme della penalità e ammettere che il carcere è solo uno degli strumenti a disposizione della società. E va riservato a chi commette i delitti più gravi.

Carcere come extrema ratio?

Il carcere è sempre di più il luogo della marginalità sociale. Invece bisogna ammettere che deve essere quel luogo di reinserimento e risocializzazione previsto dalla nostra Costituzione. Altrimenti la recidiva, il ritorno in carcere sempre delle stesse persone è irrisolvibile. Basta con il modello custodialistico. E poi, come minimo, la politica si adoperi per un carcere dove si può lavorare, darsi una formazione e dove non ci si ammala.


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