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Bisogna fermare i suicidi in carcere
Che direste di un padre di famiglia che ha visto crollare la propria casa per una scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli, la moglie scappare con uno stilista giapponese, i figli diventare tutti - ma proprio tutti! - concorrenti del programma di Maria De Filippi: che direste, appunto, se dopo tutto questo ambaradan dichiarasse: "Sono sereno"?
articolo - italia - - - Il Mattino - Luigi Manconi - Carcere
[09/03/05] Che direste di un padre di famiglia che ha visto crollare la propria casa per una scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli, la moglie scappare con uno stilista giapponese, i figli diventare tutti - ma proprio tutti! - concorrenti del programma di Maria De Filippi: che direste, appunto, se dopo tutto questo ambaradan dichiarasse: "Sono sereno"?
Pensereste che è un uomo equilibrato e lucido, capace di grande autocontrollo, oppure che è un irresponsabile, che non vuole dirsi e dirci la verità? Personalmente, propendo per la seconda ipotesi.
Ed è questa, anche, la sensazione che ho provato nel leggere le dichiarazioni di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Sulmona, a commento dell’ennesimo suicidio avvenuto in quell’istituto di pena. Certo, non si vuole dire, qui, che la responsabilità di quegli eventi tragici sia solo o soprattutto sua, ma - dopo quanto accaduto - "sdrammatizzare" è altrettanto sciocco. E colpevole.
Non c’è il minimo dubbio, infatti, che - come insegnano tutte le discipline della psiche - ogni suicidio fa storia a sé e risponde a motivazioni talmente personali e profonde da risultare insondabili, ma resta un dato statistico ineludibile. E le cifre, impietosamente, dicono che nel corso di 17 mesi, nel carcere di Sulmona si sono tolti la vita quattro detenuti; e - per ampliare il discorso - nelle carceri sarde la frequenza dei suicidi è stata, nel corso del 2002 e del 2003, ancora maggiore.
Complessivamente, negli ultimi cinque anni, i suicidi in carcere sono stati tra le 17 e le 19 volte più frequenti di quanto siano i suicidi fuori dal carcere. E mentre all’interno della popolazione nazionale i suicidi si addensano nelle fasce d’età oltre i 60 anni, tra quella reclusa sono i giovani 18-25enni che ricorrono più frequentemente alla scelta autosoppressiva.
E, tuttavia, il dato più drammatico è ancora un altro: circa il 60% dei detenuti si uccide nei primi 12 mesi di detenzione e quasi un terzo nel primo mese. A uccidersi sono, con maggiore frequenza, detenuti in attesa di giudizio, imputati di reati minori, con una esigua (o nulla) carriera criminale. Infine, una ulteriore analisi ci dice che i "nuovi giunti", i detenuti di carceri affollate, coloro che hanno già tentato il suicidio, lo hanno minacciato o versano in gravi condizioni di depressione: tutti questi sono - come prevedibile - i soggetti a maggior rischio.
E tuttavia, nella gran parte delle carceri italiane, non si riesce a garantire controllo e sostegno adeguati neppure nei casi più gravi: persino chi ha già tentato di darsi la morte trova modo, infine, di portare a compimento il suo proposito. Dunque, contrariamente a quanto affermano il ministro della Giustizia e l’amministrazione penitenziaria, i suicidi di detenuti non "calano" affatto. È un dato oscillante, piuttosto, quello che emerge, che conserva una sua tragica e lugubre continuità nel tempo: e che può "rassicurare" solo quel padre di famiglia ilare e sconsiderato di cui si diceva all’inizio. Dal 1998 al 2004 i suicidi sono stati - anno dopo anno - 51, 53, 65, 72, 57, 65, 52.
E il 2005 si è aperto sotto pessimi auspici. Che fare, dunque? Intanto, va completamente rovesciata l’attuale politica penitenziaria. Proprio così: rovesciata da capo a piedi. I dati analizzati confermano che le politiche di sostegno ai "nuovi giunti" e i "presidi" a questo destinati (istituiti già nel 1987) - quando pure ci sono - risultano deboli e inefficaci; e provano che l’amministrazione penitenziaria non sembra in grado di gestire adeguatamente il trauma psicologico dovuto all’ingresso in un mondo chiuso e, per molti, sconosciuto.
Tanto più quando, com’è successo con l’ultima legge finanziaria, la spesa destinata al carcere e alla sanità carceraria è stata drasticamente ridotta: dunque mancano agenti, educatori, medici, psicologi, volontari. Restano soltanto - come nella cella di "massimo isolamento" dell’ultimo suicida, a Sulmona - una t-shirt o i lacci delle scarpe, colpevolmente lasciati a disposizione di chi voglia impiccarsi.
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