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Le elezioni islamiche in Francia, un successo da prendere a esempio

Nonostante l’impostazione buonapartista data dal ministro dell’Interno Sarkozy alle prime elezioni del Consiglio francese del culto musulmano, la moschea di Parigi, legata all’Algeria e da sempre l’istituzione più vicina ai governi della Repubblica, è arrivata buona ultima nelle votazioni del 6 e del 13 aprile, alle quali ha partecipato quasi il 90 per cento dei 4.000 « grandi elettori » . (...)

articolo - - - - Corriere della Sera - Francesco Margiotta Broglio - Libertà Religiosa

[15/04/03]

Nonostante l’impostazione buonapartista data dal ministro dell’Interno Sarkozy alle prime elezioni del Consiglio francese del culto musulmano, la moschea di Parigi, legata all’Algeria e da sempre l’istituzione più vicina ai governi della Repubblica, è arrivata buona ultima nelle votazioni del 6 e del 13 aprile, alle quali ha partecipato quasi il 90 per cento dei 4.000 « grandi elettori » . È vero che nell’assemblea del dicembre 2001 delle principali componenti dell’Islam ( sette federazioni, 5 grandi moschee e 6 personalità in rappresentanza dei quattro- cinque milioni di musulmani) il ministro aveva ottenuto che il rettore della moschea di Parigi, Boubakeur, avrebbe presieduto in ogni caso il nuovo Consiglio, ma ciò non toglie che i vincitori siano la Federazione dei musulmani di Francia, in gran parte di origine marocchina, e l’Unione delle organizzazioni islamiche, vicina ai Fratelli musulmani, seguiti dalla moschea ( con soli 8 consiglieri su 41) e dal Coordinamento dei Turchi ( 2 consiglieri). Resta inoltre da vedere a quale componente apparterranno i presidenti dei 17 Consigli islamici regionali. È comunque incontestabile il successo della politica di Sarkozy che, nonostante lo scetticismo di alcune autorità musulmane e le obiettive difficoltà per far sedere i musulmani « alla tavola della Repubblica » ( così aveva detto il suo predecessore Chévénement), è riuscito là dove i ministri dell’Interno, da Joxe in poi, non erano stati in grado di organizzare una vera e propria tornata elettorale all’interno delle moschee e dei luoghi di culto. Certo, vedere nella Francia rigidamente laica e separatista i seggi nei soli edifici religiosi ( in Belgio erano stati allestiti anche nei Comuni per favorire i non praticanti) e constatare che l’Islam — seconda religione di Francia — è riuscito a mettersi insieme solo grazie all’intervento dello Stato non possono che sollevare alcuni interrogativi proprio alla vigilia del centenario della legge di separazione tra Stato e Chiese ( 1905).
Legge che però, a prescindere dalla vistosa eccezione dell’Alsazia Mosella, già nel caso di alcuni nuovi movimenti religiosi aveva finito per essere interpretata con « spirito concordatario » . Ci si è chiesti, infatti, se la neutralità dello Stato consenta di intervenire per aiutare una confessione religiosa a organizzarsi e a darsi una rappresentanza, cercando anche di modellare il proprio interlocutore « unico » nonostante le divisioni religiose ( sunniti, sciiti, eccetera) e nazionali ( marocchini, algerini, eccetera). Sarebbe, in un certo senso, come pretendere che tutte le Chiese cristiane presenti in Francia eleggano un Consiglio rappresentativo unitario per dialogare con lo Stato su problemi e questioni che, certo, non possono investire gli aspetti propriamente religiosi. Nonostante l’ambiguità del ruolo dello Stato nella consultazione elettorale, resta il fatto che, anche nel quadro europeo, l’elezione del Consiglio musulmano di Francia appare, per ora, un successo. Se guardiamo ai precedenti spagnolo e belga, caratterizzati da un minore « buonapartismo » ma subito turbati da rinnovate tensioni negli organismi eletti, l’esperienza francese può rappresentare un passo avanti, soprattutto rispetto a situazioni confuse come quelle dell’Islam italiano, le cui componenti maggioritarie sembrano restìe anche a chiedere il riconoscimento della personalità giuridica ( sugli oltre 800 mila musulmani si vedano le recenti importanti ricerche di S.
Ferrari ( Il Mulino) e di S. Allievi ( Einaudi). Se l’esempio della Francia inducesse quelle componenti a cercare, in piena autonomia e libertà, una dimensione unitaria, forse, nonostante i ricorrenti e crescenti veti di alcune parti politiche, lo « statuto » dell’Islam italiano potrebbe essere definito con quella appropriata consapevolezza che le norme costituzionali garantiscono ben oltre i superati stereotipi della legislazione francese. Legislazione che ha, comunque, consentito, in un momento tanto delicato della vita internazionale, di raggiungere soluzioni ben diverse da quelle pasticciate e improvvisate che circolano tra coloro che, con le migliori intenzioni, pensano che lo statuto dell’Islam italiano possa essere elaborato e definito con superficiale rapidità.


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