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Un velo di dubbi sulla Francia laica - Dialogo con un lettore

Pubblichiamo il dialogo tra un lettore de "l'Unità" e Luigi Manconi

articolo - europa - - - A Buon Diritto - NON ASSEGNATO - Libertà Religiosa

[23/12/03]

Gentile signor Zinoni,
la ringrazio innanzitutto per la sua opinione. Cerco di rispondere alle obbiezioni che solleva.
Mi scrive:

Egregio  sig.
leggo il suo articolo in oggetto sul tema della laicità e delle recenti decisioni francesi e, pur essendo anch'io di sinistra, ho difficoltà a mettermi in sintonia con quanto da lei scritto.

Vorrei iniziare ricordando che quando ero ragazzo mi fu insegnato che il galateo non era una vuota formalità ma una serie di comportamenti vincolanti per renderci reciprocamente sopportabili. Col maturare degli anni ho poi capito che questa definizione del galateo  è una forma di laicismo spicciolo, un contrattualismo sociale spontaneo che nasce dall'esigenza, per ogni società, di contenere i conflitti interpersonali a livelli sopportabili. Quindi, la domanda di uno stato che: "garantisca al cittadino un quadro normativo massimamente inclusivo dei suoi comportamenti culturali, religiosi, etici" è impropria poiché porta inevitabilmente a preferire qualche cittadino su un altro, essendo impossibile garantire la massima inclusione  per tesi e comportamenti contrastanti o in generale diversi.

Su questo punto non concordo e non posso concordare con lei. Un quadro normativo, se davvero liberale, garantisce al cittadino leggi universali, ovvero capaci di fissare criteri e regole uguali per tutti (nonchè tali da includere tutti i "casi", tali da non creare "eccezioni" o vuoti giuridici). All'interno di queste regole possono anche emergere "tesi e comportamenti contrastanti", come lei mi scrive: a maggior ragione, è proprio in un caso simile che uno stato veramente liberale esplica una delle sue funzioni chiave: la regolazione (e regolamentazione) del conflitto, la mediazione come sforzo continuo, tentato ogni qualvolta ve ne sia possibilità. E sono proprio quelle leggi universali ed inclusive, cui mi rifaccio nel mio articolo, che possono scongiurare il soccombere delle minoranze alle maggioranze. Rimane sottinteso che i comportamenti "contrastanti" trovano un limite nel codice civile e penale; trovano un limite nell'inviolabilità della libertà e della dignità altrui. Proprio su questo punto verteva parte del mio ragionamento (svolto, peraltro, in pochissime righe: e quindi in estrema sintesi) : una ragazza che indossi un velo a scuola (o che porti una croce al collo, o una kippah sul capo, o una maglietta di Che Guevara) nuoce a qualcuno? Io credo di no; almeno fin quando ai suoi compagni ed ai suoi insegnanti viene simmetricamente garantità una identica libertà di espressione. Credo che lo Stato debba garantire la sua libertà di abbigliarsi come meglio crede, anche quando il suo abbigliamento diviene espressione tradizionale di un sentimento religioso.

Se lo Stato permette ogni simbolo religioso da parte di chiunque, poiché il non permetterlo sarebbe negare la libera manifestazione del credo delle persone, ne verrebbe che i cattolici potrebbero moltiplicare all'infinito i simboli, grandi e piccoli, della loro religione perchè sono in maggioranza, scacciando di fatto i simboli degli altri. Ne è prova che in Italia, non ostante che la Costituzione preveda la separazione dello Stato dalla Chiesa, la religione cattolica ed il Papa sono massicciamente presenti sui mass-media ed i politici italiani fanno a gara ad ingraziarsi, con donativi vari (finanziamento della scuola privata, legge sulla fecondazione assistita, ed altro) la Chiesa Cattolica.L'argomento da lei addotto è simile a quello di Berlusconi che sostiene essere la par condicio limitativa della libertà politica; sicuramente non è inclusiva della libertà, per chi  controlla tutte le televisioni, di  usarle a suo piacimento.

Ho l'impressione che lei tenda a confondere i comportamenti privati con quelli pubblici, in questo discorso. Tutto il mio ragionamento è da riferirsi ad un caso specifico - quello del velo nelle scuole francesi - che è, a mio avviso, da analizzare in riferimento alle libertà personali di cui godono i cittadini: e i cittadini francesi. Libertà che sono tali - personali, appunto - nella misura in cui non offendono e non nuociono a nessuno. E, secondo me, un velo, una kippah etc. non offendono alcuno, non violano alcuna altrui libertà.

Ciò detto, il fatto che esistano, in ogni società, degli orientamenti di maggioranza, non vuol dire che questi debbano divenire totalizzanti. Tanto per intenderci, posso immaginare uno stato in cui una schiacciante maggioranza cristiana viva e celebri la propria fede, anche pubblicamente, senza per questo ostacolare in alcun modo la vita religiosa di altre comunità. E senza per ciò divenire, da maggioranza religiosa, maggioranza politica, trasformando lo stato laico in stato etico o confessionale. Parimenti vorrei che una maggioranza laica o atea non vietasse ad alcuno di esprimere la propria fede, fin quando questa espressione non sia lesiva dei diritti di altri cittadini.

Lei vede nelle decisioni francesi  un "surretizio ateismo di stato", un pericolo da evitare altrettanto pernicioso della laicità vista come ideologia. Ma le religioni non sono anch'esse ideologiche? e perché l'ideologia religiosa deve essere superiore a quella laica? e allora perché le ideologie religiose devono essere superiori a quella?  che, per permettere a tutte di essere presenti, chiede un galateo ove le esibizioni pubbliche, in qualche modo sempre impositive, siano regolamentate.

Ben lungi dal sostenere che queste ideologie, come lei le definisce, debbano essere in competizione o in conflitto, e ben lungi dal sostenere che una debba rivelarsi superiore all'altra: io sono fautore di uno stato laico e liberale, che si limiti a regolamentare la vita privato del cittadino il meno possibile. Che ponga, dunque, dei limiti e un confine chiaro tra lecito e illecito; e che lasci al libero arbitrio di ogni persona la possibilità di scegliere autonomamente (senza, quindi, essere eterodiretti da un'entità statuale totalizzante) su tutte quelle questioni che si rivelano personali, su tutti quei comportamenti e quelle convinzioni che pertengono la sfera privata della vita del cittadino e non hanno relazione alcuna con la libertà e i diritti degli altri. In questo senso, Chirac e la commissione Stasi non si sono limitati a regolamentare, come lei dice, per meglio favorire la convivenza civile: hanno piuttosto bandito, immotivatamente, proprio in ragione di quella surrettizia ideologia statale che è l'ateismo, un comportamento privato inoffensivo per chiunque.

Vede: io sono ateo e come tale non ho ideologia religiosa a meno che anche la sua assenza non sia essa stessa un'ideologia, e allora tutto è ideologia. Premesso quindi che essere atei significa non assumere nessuna ideologia religiosa e non , come vuole la vulgata monoteistica, che significa essere contro la religione, uno stato ateo garantisce tutte le religioni.

Mi permetta: uno stato laico garantisce tutte le religioni! C'è una differenza, non troppo sottile, sulla quale la invito a riflettere.

Il peggior nemico delle religioni è stata, da sempre, la religione monoteista  che, per essere tale, non può ammettere un monoteismo diverso. Io sono, in linea di principio, d'accordo con le decisioni francesi anche se non le conosco nei dettagli. Penso che il sentimento religioso, anche se non lo provo, sia accettabile e debba essere riconosciuto per cui non vedo l'utilità di combattere i simboli religiosi;  ritengo però che questo sentimento sia eminentemente una scelta personale, individuale che non ha nessun bisogno di esibirsi pubblicamente, ossia d'essere politico.

Indossare un velo non è fare politica. Non credo. E, a mio modo di vedere, non sarebbe comunque da proibire, neppure nel caso lo fosse.

La religione che si fa politica non è accettabile, 

Io credo che ognuno possa arrivare alla formulazione della propria proposta politica, del proprio progetto politico, a partire da qualsivoglia ideologia, religione, convincimento, etica. L'importante è che, a prescindere da ciò, ogni partito, forza, movimento, gruppo, riconosca le regole e i limiti che all'azione politica sono imposti da uno stato democratico e liberale.

così non è accettabile che i cattolici impongano la loro morale anche a chi la pensa diversamente; così non è accettabile che essi impongano ad es. la proibizione dell'aborto a tutti e per questo usino il potere dello Stato. Questo non deve assumere una morale specifica, particolare di una data religione, deve essere laico e permettere a chi crede che l'aborto non si deve fare, di non farlo; a chi crede che la procreazione non deve essere assistita, a non farla; altrettanto permette agli altri di praticare l'aborto o la fecondazione assistita, sempre regolate dalla legge.
Giancarlo Zinoni.

Su questo mi trova concorde. Ma, mi perdoni, mi sembra questione lontanissima da quanto il mio articolo analizzava.

La ringrazio ancora dell'attenzione e delle interessanti notazioni.


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