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L’Islam in Italia, Silvio Ferrari

Intervento del Prof. Silvio Ferrari al Convegno organizzato da A Buon Diritto e Open Society Institute

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[11/02/03]

L'incontro odierno si colloca in un tempo storico che è caratterizzato da due tensioni ugualmente forti e potenzialmente contraddittorie: da un lato un crescente desiderio di unità e dall'altro un evidente incremento della diversità.

La prima di queste tensioni trova espressione nella ricerca di valori comuni. Essa emerge con forza nella bozza di Convenzione europea resa pubblica alcuni giorni or sono, che segna il criterio di appartenenza all'Unione europea nella condivisione di un identico patrimonio di valori individuato nella tutela della dignità della persona umana, nella libertà, democrazia, rispetto dello Stato di diritto e dei diritti dell'uomo. L'importanza attribuita a questi valori comuni è sottolineata dalla costituzione, ad opera del Presidente della Commissione europea, di un comitato di saggi che si è riunito per la prima volta il 29 gennaio scorso per riflettere sui valori spirituali e culturali dell'Europa ed individuare il profilo specificamente europeo dei valori richiamati dalla Convenzione, che sono nella loro sostanza universali, anche se non universalmente applicati.

L'incremento della diversità -l'altra linea di forza che attraversa il nostro tempo- è sotto gli occhi di tutti. Si tratta di un incremento connesso all'allargamento dell'Unione europea a paesi contraddistinti da una storia, un livello di sviluppo economico e una tradizione politica che è significativamente diversa da quella dell'Europa occidentale; e si tratta di un incremento che è al tempo stesso determinato dall'immigrazione -proprio all'interno dell'Europa occidentale- di comunità sociali caratterizzate da una cultura, una religione, un modo di vivere differenti da quelle della maggioranza dei cittadini dell'Unione europea.

La necessità di trovare una composizione tra queste due linee di tendenza, di individuare il punto di incontro e di equilibrio tra unità e diversità, sta al centro del dibattito politico e culturale contemporaneo: dibattito che non verte tanto sulla necessità di questa ricerca -che è fuori discussione- quanto sulle sue modalità, sul "come fare" più ancora che sul "cosa fare".

E' in questo contesto che vanno letti i rapporti dell'Open Society Institute sulla protezione delle minoranze nell'Unione europea. Essi intendono costituire uno strumento concreto per monitorare uno dei valori condivisi su cui è fondata l'Unione -appunto il rispetto delle minoranze- e valutare la misura in cui questo valore trova attuazione pratica. Nel caso dell'Italia la ricerca è stata focalizzata sulla comunità musulmana, individuata come una minoranza vulnerabile non soltanto per la sua debolezza socio-economica ma anche per la componente di alterità culturale e religiosa che essa rappresenta rispetto alla maggioranza della popolazione italiana.

2. Non è mia intenzione riassumere ora i contenuti del rapporto: vorrei invece formulare alcune osservazioni sui criteri che ne hanno guidato la stesura e fornire in tal modo alcuni elementi per discutere quel "come fare" che sta a mio parere al centro del problema.

Sottostante al rapporto vi è una certa presa di distanza da due scenari entro cui potrebbe essere teoricamente concepita la relazione tra comunità immigrate musulmane e società europea.

Uno scenario è definito dal tentativo di assimilazione della prima da parte della seconda: non mi soffermerò su questa ipotesi se non per segnalare che essa implicherebbe la rinuncia della comunità musulmana alla propria identità culturale (cosa, peraltro, di assai difficile realizzazione). Il secondo scenario prevede la nascita di una società multiculturale: in questo progetto è implicita sovente una certa relativizzazione dei valori ed una corrispondente ipervalutazione della possibilità di gestire le differenze sul terreno -solo apparentemente neutro- delle procedure.

Esiste però anche una terza possibilità, che merita qualche cenno meno sintetico: essa fa perno sulla nozione di società interculturale e ruota attorno al concetto di integrazione. Entrambe le nozioni -società interculturale ed integrazione- implicano la disponibilità ad uscire profondamente trasformati dall'incontro, per tanti versi inaspettato e non programmato, tra musulmani ed europei: ma questo cambiamento, pur coinvolgendo entrambe le comunità, si colloca su piani differenti. La comunità di immigrazione, nella misura in cui progetta stabilmente il proprio futuro all'interno dello spazio geografico e culturale dell'Europa, non può esimersi da un confronto simpatetico e disponibile con le categorie fondamentali della tradizione culturale europea; la comunità di accoglienza a sua volta non può tralasciare di verificare, alla luce dell'incontro con la comunità musulmana, la propria tradizione culturale discernendo ciò che vi è di essenziale da ciò che invece costituisce una semplice traduzione storica di principi e valori sia pur fondamentali. In altre parole, la tradizione culturale europea (intesa come nucleo ristretto di principi e valori basilari che costituiscono l'identità dell'Europa) rappresenta la cornice ineliminabile entro cui debbono trovare posto i valori propri della comunità di immigrazione musulmana (o di qualsiasi altro gruppo che intenda stabilirsi permanentemente nel Vecchio Continente). Ciò implica un delicato lavoro di riflessione e selezione rivolto in primo luogo ad identificare valori e principi che costituiscono l'identità europea; poi a distinguere all'interno di essi ciò che appartiene al nucleo più profondo di questa identità (e che quindi non è negoziabile senza sfigurarla) e ciò che appartiene allo strato più superficiale e negoziabile; infine a valutare le modalità (che sono normalmente diversificate e consentono margini di adattamento) con cui tradurre questi valori e principi nel mondo del diritto. Il metodo di lavoro volto a rendere possibile una società interculturale muove dunque dai valori fondamentali che costituiscono il nucleo centrale della civiltà occidentale e tende a svilupparne tutte le possibilità di applicazioni differenziate in direzione delle componenti sociali che, stabilmente presenti in Europa, sono portatrici di identità diverse. Si tratta in altre parole di accompagnare -anziché contrastare- la tendenza al pluralismo organizzativo e normativo emergente a livello sociale, verificandone però di volta in volta la compatibilità con i principi fondamentali e non negoziabili dell'ordinamento giuridico.

3. L'identificazione di questi principi costituisce dunque il primo passo per tentare di applicare questa metodologia all'islam europeo ed italiano. E' ovviamente impossibile procedere in questa sede ad indicazioni che pretendano di essere anche lontanamente esaustive: mi limiterò dunque ad alcune esemplificazioni, riferite soprattutto al tema dei rapporti tra diritto e religione.

Il primo dei principi fondamentali a cui si è fatto cenno è costituito dalla laicità dello Stato. Nella tradizione culturale europea la nozione di laicità non ha un significato univoco: essa costituisce uno dei tanti punti dove la matrice cristiana e quella illuministica di questa tradizione si incrociano senza sovrapporsi completamente, con la conseguenza che -all'interno della stessa Unione europea- paesi con una Chiesa di Stato coesistono ancor oggi con Stati che hanno iscritto i principi di laicità e separazione tra i propri valori costituzionali. Su un punto vi è però una sostanziale uniformità: la convinzione che l'ordine secolare non possa identificarsi con un ordine etico o religioso particolare e che i pubblici poteri non possano divenire strumenti per formulare in modo uniforme le appartenenze ultime, le credenze e le preferenze dei cittadini. Nella tradizione culturale dell'Occidente la laicità della sfera pubblica impone che questo compito di definizione e di proposizione dei valori ultimi sia lasciato in primo luogo alla coscienza di ciascuna persona e poi ad una serie di soggetti istituzionali (tra cui le Chiese) che agiscono in regime di pluralismo. Da essi la legislazione statale può essere influenzata (in proporzione alla recezione di quei valori nel corpo sociale) ma non sequestrata (nel senso che non può essere identificata con alcuno di quei sistemi di valori).

Un secondo principio fondamentale è quello della libertà religiosa, vale a dire il diritto di ogni persona di prendere in assoluta libertà le decisioni in materia religiosa che giudica conformi alla propria coscienza, senza che tale scelta comporti alcuna conseguenza negativa sul terreno giuridico. Da questa concezione discendono almeno due conseguenze che possono avere riflessi rilevanti sullo statuto giuridico dell'islam in Europa. Innanzitutto, tanto nell'Europa occidentale che in quella orientale, tra i cattolici come tra i protestanti e gli ortodossi, l'apostata, l'ateo ed il fedele di una religione di minoranza non è soggetto per la sua scelta religiosa o di coscienza ad alcuna diminuzione dei diritti civili e politici spettanti a tutti i cittadini. Ciò implica, in secondo luogo, che ciascuna persona abbia non soltanto il diritto di adottare una religione ma anche di abbandonarla e di cambiarla: il fedele che lascia il gruppo religioso di cui fa parte (anche nel caso in cui ne abbia fatto parte sin dalla nascita) esercita un proprio diritto che lo Stato è tenuto a garantire nei confronti di tutti, incluso il gruppo religioso che viene abbandonato.

Un terzo principio riguarda l'uguale dignità tra uomo e donna, con tutto ciò che ne consegue sul terreno della parità dei diritti. Le limitazioni che questo principio pone al riconoscimento di istituti giuridici come la poligamia e soprattutto il ripudio sono abbastanza evidenti: soltanto entro confini ben precisi questi istituti potrebbero trovare qualche forma di limitata cittadinanza nel diritto dei paesi europei.

Si potrebbe continuare ancora questo elenco di principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico dei paesi europei e non sono quindi negoziabili. Ma credo che gli esempi ora addotti siano sufficienti per indicare l'esistenza di un nucleo centrale di valori che definiscono la nozione di cittadinanza europea e garantiscono quel minimo di coesione sociale e culturale che è indispensabile per la stabilità e sicurezza di qualsiasi comunità.

4. La nozione di cittadinanza europea si definisce dunque attorno ad un nucleo di valori condivisi. Ma l'applicazione di questi valori, la loro traduzione pratica non deve essere meccanicamente uniforme: può invece rispettare e valorizzare le diversità presenti nel corpo sociale. Chiariti, sia pure soltanto attraverso alcune esemplificazioni, il significato e la funzione pratica che possono avere i principi indisponibili della tradizione culturale europea, resta allora da esaminare l'area del "negoziabile", delle norme e degli istituti giuridici che non appartengono al nucleo duro di questa tradizione ma a quello più "soft" ed articolato della sua attuazione.

In questa area esiste un ampio numero di questioni attinenti alla presenza islamica in Europa che, al di là del loro rilievo simbolico e politico, non pongono problemi nuovi o particolari agli ordinamenti giuridici degli Stati europei. Rientrano in questo settore le questioni connesse alla costruzione dei luoghi di culto, alla disponibilità di reparti separati per le inumazioni nei cimiteri, all'assistenza spirituale nelle carceri, ospedali e forze armate, alla macellazione rituale, alla fornitura di alimenti non contrastanti con le prescrizioni religiose nelle mense pubbliche, alla libertà di abbigliamento ed alla previsione di spazi e tempi di preghiera nei luoghi di lavoro. In questi ed in altri settori ancora le legislazioni degli Stati dell'Europa dispongono già delle categorie concettuali e degli strumenti giuridici necessari per dare risposta alle istanze avanzate dalla comunità musulmana. In molti di questi casi le leggi dei paesi europei non richiedono neppure di essere modificate (se non in punti particolari) ma semplicemente di essere applicate con equanimità e lungimiranza. Una intelligente e rigorosa attuazione di queste norme non pregiudicherebbe in alcun modo le esigenze di certezza del diritto e di sicurezza che l'attuale congiuntura internazionale rende sempre più impellenti. Al contrario, favorendo l'integrazione della comunità musulmana nella nostra società, queste misure diminuirebbero quel sentimento di esclusione in cui pescano le frange più radicali ed estremiste dell'islam europeo ed italiano.

La necessità di dare rapida attuazione a queste misure è tanto più pressante perchè vi sono altri settori dove una completa equiparazione dello statuto giuridico della comunità musulmana a quello di altre confessioni religiose, caratterizzate da una più antica presenza in Europa, esigerà tempi più lunghi. Basti un esempio: l'assenza di un corpo docente in grado di coniugare la conoscenza della religione musulmana e la padronanza degli standard culturali e pedagogici propri del sistema educativo italiano hanno finora impedito di assicurare un organico insegnamento della religione musulmana nelle nostre scuole. Con la crescita della popolazione scolastica di fede musulmana questa assenza non potrà prolungarsi a lungo: se non si vogliono ripetere i tentativi, già falliti in altri paesi europei, di importare questo corpo docente direttamente dai paesi islamici e di trapiantarlo nell'espace d'un matin nelle scuole italiane, è urgente avviare subito programmi di formazione in Italia di docenti destinati ad insegnare la religione musulmana nelle scuole. Anche se questa non è una strada agevole e soprattutto non è percorribile in tempi brevissimi, essa pare essere l'unica in grado di dare una soluzione non provvisoria a questo problema.

5. Vorrei concludere il mio intervento ritornando al documento dell'Open Society Institute che oggi si presenta. Dalla lettura dei rapporti dedicati alla situazione dell'islam in diversi paesi europei si ricavano facilmente tre conclusioni.

La prima riguarda il processo di immigrazione che ha investito il nostro ed altri paesi dell'unione europea: qualsiasi giudizio si porti su di esso, si tratta di un fenomeno non reversibile. Ha quindi poco senso attardarsi in rimpianti di un passato che non tornerà: bisogna invece affrontare, con regole precise e sicure, un futuro da cui tanto la comunità di accoglienza quanto la comunità di immigrazione usciranno profondamente trasformate.

La seconda conclusione porta a sottolineare il carattere trasversale della problematica connessa all'immigrazione musulmana. Essa interessa praticamente ogni sfera della vita associata, dal mondo del lavoro alle politiche abitative, dal sistema sanitario all'amministrazione della giustizia. E' dunque necessario un approccio globale, che non isoli i problemi ma li affronti nella loro contestualità.

L'ultima conclusione concerne la dimensione europea dell'islam. Non è una questione italiana: è una questione che interessa, a diversi livelli di sviluppo, tutti i paesi dell'Unione europea. Le esperienze dei paesi dove comunità musulmane si sono insediate da maggior tempo dovrebbero essere studiate per trarne tutte le indicazioni possibili sul modo migliore di affrontare la questione dell'islam italiano.

I rapporti dell'Open Society Institute costituiscono un ottimo strumento per questo lavoro. Non è possibile progettare senza conoscere, non si possono operare scelte consapevoli se prima non si sono raccolti i dati e le informazioni necessarie. E non è possibile porre in essere una politica capace di incidere realmente sui problemi se non si è disposti a sottoporla ad una continua valutazione, a monitorarla costantemente per migliorarne l'efficacia. Ciò che Pericle diceva ad Atene quattro secoli prima di Cristo è attuale ancor oggi: "sebbene solo alcuni siano in grado di generare una politica, siamo tutti in grado di giudicarla".


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