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Il futuro delle droghe

(...)La riunione interministeriale delle Nazioni Unite (8-18 aprile), che è chiamata a fare il punto sul piano Scope, elaborato da Pino Arlacchi, ex direttore dell’Undcp (l’agenzia Onu per le politiche in materia di sostanze stupefacenti), difficilmente avrà esiti di portata storica. E nemmeno, crediamo, più modesti e concreti risultati positivi. (...)

articolo - mondo - - - Il Foglio - Luigi Manconi, Chicco Testa - Sostanze

[16/04/03] La vocazione di Vienna a essere città cruciale per la politica internazionale, è nota. Dal 30 aprile 1725, quando Carlo VI d'Austria e Filippo V di Spagna siglarono il primo trattato che porta il nome di quella città, passando per accordi storicamente ancor più rilevanti, il ruolo della capitale austriaca nella scena internazionale, è rimasto il medesimo: luogo di incontro e confronto, di scontro e, infine, di intese su questioni spesso decisive per gli equilibri diplomatici, prima europei, oggi planetari. Temiamo che questa volta non sarà proprio così. La riunione interministeriale delle Nazioni Unite (8-18 aprile), che è chiamata a fare il punto sul piano Scope, elaborato da Pino Arlacchi, ex direttore dell’Undcp (l’agenzia Onu per le politiche in materia di sostanze stupefacenti), difficilmente avrà esiti di portata storica. E nemmeno, crediamo, più modesti e concreti risultati positivi. Benché il progetto di arrivare nel 2008 all’eradicazione completa, a livello planetario, delle piante della coca, del papavero da oppio e della canapa indiana sia avviato a un completo fallimento, e benché le politiche proibizioniste si rivelino sempre più inefficaci e criminogene, la previsione è che la maggioranza dei ministri riuniti a Vienna stia per confermare la disastrosa linea dell’Undcp (diventata nel frattempo Unodc). Secondo il nuovo presidente, Mario Costa, la strategia della riduzione dell’offerta e della domanda verrà rilanciata e potenziata. Ma con quali conseguenze? Possiamo schematicamente distinguere due grandi questioni, ognuna suscettibile di essere scomposta e analizzata in molti altri punti di non minore importanza. La prima riguarda la politica globale di lotta alla coltivazione e alla produzione delle droghe. È una strategia che investe, in primo luogo, i paesi andini, il sud-est asiatico, l’Afghanistan; e che ha prodotto risultati contraddittori, se non apertamente negativi. La produzione delle droghe non è diminuita, o almeno non abbastanza e non stabilmente. I risultati modesti ottenuti (ad esempio, nella riduzione della coltivazione di oppio) sono stati smentiti successivamente da una rinnovata produttività. L’opera di repressione della produzione di coca, lungi dall’ottenere risultati durevoli, è servita per lo più a irrorare vaste aree di foresta con agenti micotici geneticamente modificati; i milioni di dollari destinati all’Afghanistan, che - per un breve periodo - hanno sostituito gli introiti derivanti dalla coltivazione dell’oppio, non hanno rappresentato, in alcun modo, il volano per una riconversione dell’agricoltura locale: che è tornata, oggi più che mai, a dedicarsi al papavero. L’altra grande questione riguarda il consumo: le politiche di repressione o di tolleranza, di criminalizzazione o di “riduzione del danno” che possono essere adottate. Da anni, in alcuni paesi – indipendentemente dalla collocazione politica del governo in carica - si sperimentano le safe injection rooms e la fornitura di siringhe pulite (needle exchanges), che hanno portato ad una significativa riduzione della percentuale di tossicodipendenti malati di Aids; da anni si sperimenta la somministrazione controllata di eroina, che consente a molti tossicodipendenti di condurre una vita, a tutti gli effetti, socialmente integrata (o, comunque, meno marginale e “a rischio”); da anni alcuni governi hanno depenalizzato la vendita e il consumo di cannabis, modificando così il reato di acquisto e detenzione per uso personale in illecito amministrativo e riducendo pertanto le sanzioni per i consumatori: col risultato di sottrarre molti cittadini a conseguenze di carattere penale nel caso consumino una sostanza non più dannosa di alcool e tabacco. La possibilità di proseguire in queste sperimentazioni e di investire (politicamente, socialmente, economicamente) su questa linea d’intervento, sarà fortemente condizionata dalle risoluzioni che verranno adottate a Vienna: e che costituiranno, giocoforza, il quadro di riferimento entro il quale gli stati membri dell’ONU agiranno in futuro. Speriamo – ma è una speranza probabilmente malriposta – che si tenga conto della inequivocabile lezione dei fatti: le politiche basate esclusivamente su meccanismi di penalizzazione e di sanzione si sono rivelate inefficaci: inducono il consumatore a “nascondersi”, a non utilizzare i servizi sociali, a commettere reati, ad adottare comportamenti che aumentano il rischio di infezioni. Uno dei riflessi maggiormente negativi di questa linea d’intervento, si coglie nelle statistiche carcerarie: il 50% delle persone detenute nelle carceri degli stati membri dell’Unione Europea deve rispondere di reati connessi alla droga; la metà di costoro è detenuta per reati correlati alla cannabis. Per crudele paradosso, il consumo della sostanza meno pericolosa, tra quelle classificate come stupefacenti, è attualmente il più sanzionato. L’Italia e il suo governo partecipano a questo appuntamento sull’onda dell’annunciato inasprimento delle pene, previsto da un disegno di legge che verrà presentato il prossimo 26 giugno, giornata mondiale dell’Onu “contro la droga”. Come a dire: la retorica di certe date può tornare utile all’assolutizzazione e alla ritualizzazione del “modello-San Patrignano” (e del sistema di pensiero che lo alimenta). I liberali della Casa delle Libertà, se ci sono, si facciano sentire. Orsù.


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