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Droga, Corleone si appella all’antiproibizionista Martino contro Fini

articolo - italia - - - Il Foglio - Franco Corleone - Sostanze

[12/11/03]

Caro Martino - Comprendo bene che la responsabilità di ministro della Difesa in particolare in un momento delicato come quello che viviamo, sia totalmente assorbente e sia quasi naturale trascurare le vicende italiane in specie quando risentono troppo della strumentalità e della propaganda. Ma io so bene che nessun ruolo istituzionale può cancellare in chi ce l’ha la passione politica e l’amore per le proprie idee. Per quanto l’ho conosciuta in Parlamento e per la lettura dei suoi scritti, Lei appartiene senza alcun dubbio a questa categoria di uomini. Nessuna etica della responsabilità può quindi annullare l’etica della convinzione. In particolare quando sono in gioco le grandi questioni dei diritti e delle libertà, il rapporto tra lo Stato e il cittadino.

Il vicepresidente del Consiglio Fini ha inserito nell’agenda politica da molti mesi il tema della politica sulle droghe rivendicando la necessità di un cambiamento della legge in vigore “di 180 gradi”. In particolare nell’aprile scorso a Vienna durante il summit dell’Onu che doveva valutare dopo cinque anni i risultati del cosiddetto Piano Arlacchi per un mondo senza droga, Gianfranco Fini ha esplicitato la svolta del Governo italiano. Anche grazie all’azione del nostro Paese si è realizzato uno straordinario paradosso: invece di sancire il fallimento di una politica internazionale che aveva avuto la sua massima esplicitazione negli accordi con i talebani in Afghanistan e dichiarare la crisi dell’Undcp, l’agenzia dell’Onu dalla cui direzione Pino Arlacchi era stato allontanato in seguito alle denunce per i criteri e le modalità di gestione, si è rilanciata la stessa filosofia di intervento cambiando nome alla struttura che ora, diretta dall’italiano Antonio Costa, si chiama Unodc. Il proibizionismo, a dispetto dei catastrofici risultati, continua a essere rilanciato in nome di una guerra impossibile che dilapida risorse pubbliche. Giancarlo Arnao, l’antiproibizionista radicale che per trent’anni ha demolito miti e menzogne, denunciava con estrema nettezza che i guerrieri della droga sono solo interessati a prolungare all’infinito un conflitto ideologico che non accetta la misura dei costi e dei benefici. D’altronde se la questione viene declinata come la lotta del Bene contro il Male, il metro di giudizio laico, pragmatico, viene giudicato inadeguato e risulta spuntato. Fini afferma che non esiste il diritto a drogarsi, bensì il dovere dello Stato di prevenire, reprimere e curare i comportamenti dei soggetti che mettono a rischio la salute e la vita. Confesso che di fronte a tanti, quasi tutti, che si proclamano liberali verrebbe voglia di sottoporli almeno a un esame, almeno orale, per verificare se hanno una qualche conoscenza, che so, di Stuart Mill o di Humboldt. Invece tranquillamente si può far passare per liberale una concezione del diritto figlia della teoria dello Stato etico.

Caro Martino, ho riletto l’articolo che Lei scrisse per Fuoriluogo nel novembre del 2000 e ho ritrovato, espresse con una chiarezza esemplare, considerazioni attualissime e di estrema utilità per il confronto che pare inevitabile. I principi che Lei esprimeva sono radicati in una cultura liberale e sono certo che non ha cambiato convinzione. “Il problema della droga è stato finora affrontato col proibizionismo, che costituisce soltanto un esempio di una diffusa concezione della legge che è incompatibile con le regole di una società libera e che ha un evidente fondamento paternalistico-autoritario”. Nel suo articolo venivano analizzate le conseguenze del proibizionismo, assai diverse dalle intenzioni dei suoi fautori. Lei si spingeva a dire: “Ora, se il proibizionismo avesse avuto successo e debellato la piaga della droga, arrestandone la diffusione, io per primo sarei disposto a transigere sui principi e tollerarlo come rimedio estremo ad una piaga sociale”. Ricordava invece “i risultati inaccettabili dell’attuale legislazione repressiva”. Seguivano icasticamente quattro punti caratterizzati da un martellante leit-motiv, “i drogati stanno peggio”, “i non drogati stanno peggio”, “le famiglie stanno peggio”, “la collettività sta peggio”. Sinteticamente ricordo le motivazioni: la nocività della sostanza, la piccola criminalità, il proselitismo, la perdita di tempo della magistratura e delle forze dell’ordine. Riporto testualmente la conclusione: “Se vogliamo, quindi, affrontare sul serio il problema, dobbiamo far sparire i profitti dal commercio di droga, il che significa rinunziare al proibizionismo; una più decisa “lotta alla droga” e un inasprimento delle pene, invece, determinerebbe con ogni probabilità l’effetto opposto”.

Caro ministro Martino, pare certo che venerdì al Consiglio dei ministri Fini presenterà un testo iperproibizionista, in controtendenza rispetto alle decisioni della Gran Bretagna e della Svizzera sulla cannabis, prevedendo una pena da otto a venti anni di carcere per uno spinello oltre a ributtare sulla strada centomila tossicodipendenti che oggi vivono e lavorano grazie alla somministrazione di metadone. Non Le chiedo di fare una battaglia per l’ipotesi della liberalizzazione che Lei ritiene, anche se non priva di rischi, meriti di essere contemplata. La prego di non far passare senza discussione una proposta che non porterebbe il segno della libertà, della tolleranza, ma neppure quello dell’umanità e della razionalità.

Con fiducia

Franco Corleone


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