Di che vita morire.
articolo - italia - - - Libero - Renato Farina - Libertà Terapeutica
[04/07/03] C’è un momento molto importante della vita: ed è l’istante della morte. Secondo San Tommaso d’Aquino un angelo, in quel diaframma di tempo e di eternità mescolate, si presenterà con la domanda decisiva e, nel crepuscolo della coscienza, ciascuno giocherà la propria libertà. Anche Seneca aveva un’idea assoluta di quella soglia: il nostro vero è quello che sceglieremo in quell’ora. Ce la stanno togliendo, questa possibilità. Più si va avanti, meno si capisce quando si muore, se si è morti, e ci dicono che forse è meglio lasciar morire la testa, ma far pulsare il cuore, così un altro vivrà. Bene, benissimo. Però. La richiesta che umilmente ci sentiamo di rivolgere allo Stato è doppia: ci lasci in pace, sia almeno in quel momento un po’ liberista, e soprattutto ci aiuti a cacciare i mercanti dal nostro tempio interiore, ci difenda in quei giorni e in quei minuti da chi, se potesse, userebbe l’insetticida per abbattere quell’angelo e romperci le scatole anche allora, con la scienza, la tecnica, la possibile immortalità, la necessità di begli esperimenti i cui frutti si riverseranno a beneficio delle future generazioni, eccetera. No, questo no. Curare, assistere, essere vicini: è ciò che speriamo di riuscire a dare a chi ci è caro e da lui a nostra volta ricevere. Non a caso la carità cristiana ha la sua forma più gentile e forte nell’assistenza. Assistenza: parola disprezzata e che è la più semplice, viene da ad-sisto. Vuol dire: sto vicino, forse persino sto seduto lì. Non c’è bisogno di spiegare che uno si dà da fare. L’amore è questa banalità di star seduti, scegliendo quella sedia vicino al letto.
A Roma oggi viene presentata una legge (ore 17, alla Sala dei presidenti al Senato, via della Dogana Vecchia 29). La firmano i senatori Antonio Del Pennino (repubblicano della Casa delle libertà) e Natale Ripamonti (Verde-Ulivo). Chi l’ha più voluta e ha cercato di imporre l’argomento alla nostra cultura distratta è stato Luigi Manconi, fondatore di “A buon diritto – Associazione per le libertà”. Questa legge intende impedire l’esercizio dell’”accanimento terapeutico”. E lascia a ciascuno di noi, sicuri clienti della morte, lo scegliere quali terapie invasive e opprimenti riteniamo di dover lasciare fuori dalla nostra agonia. Una volontà cui anche i medici devono inchinarsi. E che non sia qualcosa che va contro il sentimento del loro servizio lo attesta l’adesione di Umberto Veronesi. Abbiamo tutti in mente come in tante cliniche e ospedali si pratichi, per una sorta di inerzia e per evitare magari qualche denunzia penale, una medicina che priva il malato di se stesso, e il centro diventa la macchina, la chimica. Si fa di tutto per prolungare la vita, e ci si occupa poco o nulla del dolore, della possibilità di un istante di requie per prepararsi all’altra più lunga requie.
La proposta di legge prevede un questionario da sottoscrivere presso un notaio. Lascia anche la possibilità di cambiare le disposizioni. Introduce la figura di un parente, di un amico cui sarà assegnato il compito di decidere ulteriori passi.
A me pare civiltà. Alessandra Mussolini ed altri sono certi: <E’ l’anticamera dell’eutanasia>. Per questo si oppongono. Li capisco. Molti che firmano so essere favorevoli all’eutanasia. Io ritengo però che proprio questa lotta contro l’accanimento terapeutico e il concentrare energie nella lotta al dolore che toglie il respiro, sia una buona carta contro una certa retorica pro-eutanasia. Non c’è in questa legge nessuna volontà di affrettare la morte, semmai di impedire che si muoia da vivi.
Io passo per cattolico. Molti lo sono di certo tra i firmatari nelle loro coscienze, a me tocca di reggere pure un modesto ruolo pubblico con questa etichetta, povera Chiesa. Tocca spiegarmi. Mi appoggio prima alla carta da bollo, e cioè a una dichiarazione ufficiale del custode della fede cattolica, il cardinale Joseph Ratzinger. Cito la sua “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica”. Egli invita ad opporsi alle leggi che minano <il bene integrale della persona>, cioè ad esempio <aborto ed eutanasia (da non confondersi con la rinuncia all’accanimento terapeutico, la quale è, anche moralmente, legittima)>. Più chiaro di così.
Mi vengono in mente le agonie di due grandi persone che ho amato molto. Il cardinal Giovanni Benelli, colpito da un gravissimo infarto nell’ottobre del 1982, alla rianimazione in ospedale che avrebbe prolungato forse la sua vita ma accorciato il suo sguardo, preferì il suo letto, il crocefisso dinanzi agli occhi. Madre Teresa di Calcutta non voleva essere curata con quella macchina costosa, desiderava fosse un giovane a usufruirne. Sapeva di essere all’undicesima ora, preferiva prepararsi altrimenti. Ma era troppo importante questa donnina, Calcutta doveva esibire tutte le proprie tecnologie, ed inoltre le fu fatto presente come il suo rifiuto di quella costosa ed in fondo inutile terapia avrebbe però potuto essere inteso come una specie di eutanasia passiva. Lei accettò persino questo martirio, di obbedire cioè anche ai medici. Ma non a tutti deve essere chiesto l’eroismo: lei era santa. E colgo un invito a una certa ribellione all’onnipotenza della medicina persino nei Vangeli. Nei sinottici si parla dell’emorroissa, la quale da dodici anni era affetta da emorragia <e aveva molto sofferto per opera di molti medici> (Marco 5,26). C’è una certa ironia, non è vero? La sofferenza non stava nella malattia ma nell’opera dei medici. Era un’altra, la cura che ci voleva. E’ un’altra la cura della morte.
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