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Bioetica, un tabù si è incrinato

Si tratta, indubbiamente, di un passo avanti. Il documento, approvato dal Comitato nazionale di bioetica sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, rappresenta un risultato positivo. Esso riconosce che la volontà del malato è fattore decisivo, e non eludibile, nel determinare le scelte terapeutiche del medico.

articolo - italia - - - L'Unità - Luigi Manconi - Libertà Terapeutica

[22/12/03] Si tratta, indubbiamente, di un passo avanti. Il documento, approvato dal Comitato nazionale di bioetica sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, rappresenta un risultato positivo. Esso riconosce che la volontà del malato è fattore decisivo, e non eludibile, nel determinare le scelte terapeutiche del medico. Si chiede, dunque, di introdurre nel nostro ordinamento la possibilità, per il cittadino, di dare disposizioni in merito ai trattamenti sanitari futuri: disposizioni che devono valere qualora e quando il paziente non fosse più nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Potrebbe risultare – se correttamente applicato e se rigorosamente rispettato – il più efficace antidoto contro l’accanimento terapeutico: e il più concreto strumento di attuazione di quel principio del “consenso informato”, costantemente evocato, ma altrettanto costantemente lasciato sulla carta. Perché qui, esattamente qui, si manifesta il paradosso più singolare (e, per certi versi, più crudele) del nostro sistema sanitario. Il codice deontologico dei medici ribadisce, insistentemente, il rifiuto dell’ostinazione terapeutica; la stessa morale e la stessa dottrina sociale della chiesa cattolica sono molto nette, e non da ieri, in proposito. Eppure, nelle case, negli ospedali, nelle cliniche, si consuma, tutti i giorni, un indicibile scialo di sofferenza: cure inutili, interventi superflui, dolori non sedati, terapie protratte oltre ogni ragionevolezza. Molte le ragioni. Alcune comprensibili: innanzitutto, il desiderio – umanissimo – di tentare il tentabile, di spostare il più lontano possibile il confine della sopravvivenza, di prolungare (non importa quanto artificialmente) la mera esistenza vegetativa. Ma, poi, interviene – ecco il punto – la tentazione dell’onnipotenza medica e la presunzione della sua autosufficienza: “solo il medico sa” (il che è quasi sempre vero: ma non giusto) e, dunque, “solo il medico può decidere” (il che è quasi sempre sbagliato: e va corretto). Questo quadro è reso ancora più drammatico dal fatto che, nel nostro paese, le cure palliative e le terapie contro il dolore sono gravemente trascurate: e il ricorso alla morfina per scopi medici resta il più basso in Europa. Cosa cambia dopo il documento del Comitato nazionale di bioetica? In apparenza, nulla: si tratta “solo” di un parere. Ma la fonte è autorevolissima: tanto più che, al suo interno, la componente cattolica (anche la più intransigente) è non solo rappresentata, ma assai potente. Dunque, il parlamento, primo destinatario di quel parere, ne dovrà tenere conto: e dovrà tenere conto della richiesta di dare al “testamento biologico” un robusto fondamento giuridico. Alla Camera e al Senato sono stati depositati alcuni disegni di legge (il più recente è firmato da Natale Ripamonti e da Antonio del Pennino), elaborati e sostenuti dalla Consulta di bioetica di Milano, presieduta da Vario Pocar, e da A Buon Diritto - Associazione per le libertà. Il testo di questi disegni di legge, com’è prevedibile, è assai diverso da quello approvato, due giorni fa, dal Comitato nazionale di bioetica, presieduto da Francesco D’Agostino. In questo documento, infatti, la decisione ultima sul trattamento sanitario resta nella disponibilità del medico, che potrà rifiutarsi di eseguire le volontà espresse dal malato. Il che rappresenta una sorta di rinnovata affermazione “ideologica” del primato del medico nella relazione col paziente: ma – ecco perché il risultato ottenuto va considerato positivo – il medico dovrà motivare per iscritto, nella cartella clinica, le ragioni che l’hanno indotto a disattendere le volontà del malato. Non solo: si apre uno spiraglio per includere, fra i trattamenti che è possibile interrompere, anche l’idratazione e l’alimentazione artificiali nei casi (“più gravosi”) di stato vegetativo permanente. Non è poca cosa, se teniamo presente qual è la cultura diffusa e il senso comune della classe medica. Quello che è certo è che un tabù, se non è stato superato, indubbiamente è stato messo in discussione: e incrinato.


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