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Eutanasia, sentezza saggia e umana

articolo - italia - - Yoyoba.it - Luigi Manconi - Libertà Terapeutica

[29/04/02] La sentenza della corte d’Appello di Milano è saggissima e umanissima. La più saggia e la più umana, alle condizioni normative e culturali date. Anche se – probabilmente – si è fatto ricorso a un fragile espediente giuridico. Ma anche questo è saggio e umano. La legge non può contenere tutta la vita, le sue infinite pieghe e le sue inestricabili complicazioni, le sue scelte tragiche e i suoi dilemmi talvolta senza risposta. La legge non può prevedere e sanare tutto il dolore del mondo: può solo ridurre i danni e limitare le sofferenze, determinate dai conflitti tra opposti diritti. In questo caso, tra il diritto alla tutela della vita e quello alla morte con dignità. La legge dice che se qualcuno toglie la vita a qualcun altro, si tratta di omicidio. E se è omicidio, quella è la pena. Può dire di più, la legge? Sì, con grande prudenza, può iniziare a considerare che la vita umana non è semplice addizionarsi di giorni: e che non c’è vita dove non ci sono esperienza e sensibilità, relazione e coscienza. Dove, dunque, non c’è vita, lì non può esserci omicidio. E’ questo il ragionamento che, probabilmente, ha ispirato la corte d’Appello di Milano: ma altre corti potranno giudicare in maniera totalmente diversa, producendo situazioni di grande sofferenza e di acuta iniquità. Dunque, è necessaria una legge per tenere conto del principio della intangibilità della vita umana e, insieme, del fatto che, oggi, la cultura collettiva chiede che quella vita – per essere davvero tale e degna di essere vissuta - abbia un senso e una qualità. Il dolore non tollerabile e non reversibile può distruggere quel senso e degradare quella qualità. Già oggi, la deontologia medica e la stessa morale cattolica prevedono la possibilità di interrompere l’accanimento terapeutico: ma l’orientamento prevalente è quello di circoscrivere all’estremo le circostanze dove il protrarre la cura viene considerato accanimento terapeutico. E, invece, è necessario maggiore coraggio: senza alcuna superficialità, ma tenendo conto che il dolore può sfigurare la persona e che garantire a quest’ultima una sopravvivenza artificiale non è garantirle la vita. Infine, si può chiedere alla legge di tutelare meglio il diritto all’autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari. La Costituzione italiana e le convenzioni internazionali già affermano che “qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi illecito”. Non è sufficiente. Si può, e si deve, arrivare a prevedere il “testamento biologico”. Ovvero una dichiarazione anticipata di volontà nella quale ciascuno, finchè si trova nel possesso delle proprie facoltà mentali, dia disposizioni relative ai trattamenti sanitari per il tempo nel quale tali facoltà fossero gravemente ridotte o annullate. Sarebbe un provvedimento intelligente e compassionevole. E mai come in queste circostanze abbiamo tanto bisogno di intelligenza e di compassione.


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